“Come va?”

Domanda abbastanza semplice, ma vuoi la risposta “Bene” o una risposta più profonda? Non mi stanno sparando mentre guardo un festival musicale, non sto annegando privo di forze su un’isola. Non vengo picchiato da agenti di polizia che hanno giurato di proteggermi, non vengo bombardato per le mie convinzioni politiche… quindi, dire “Bene” dovrebbe essere sufficiente.

Ma non sto bene.

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So che per molte, tantissime persone che affrontano un vero trauma, è molto peggio. Io sono al sicuro e comodo, e voglio essere premuroso e fare la differenza. Il mio dolore è così esiguo rispetto a quello di coloro che sono in prima linea a lottare in tutto il mondo. E mi sento aggredito dai titoli dei quotidiani. Las Vegas, Myanmar, Siria, Porto Rico. Missili sul Giappone. Brutalità della polizia in Catalogna. La mia prima reazione è chiudere. Non voglio pensarci. Voglio solo interrompere questo pasto di notizie. Restare fuori dai social media. Rimanere nella mia bolla di comfort.

Come va? Bene. Sono a mio agio. Non è abbastanza?

Per il nostro cervello, trovarsi di fronte ai conflitti rappresenta una sfida particolare. Al nostro cervello PIACE stare a suo agio. Quando lo stress aumenta, esso ci spinge a negare i fatti e ad aggrapparci alla rettitudine. Cerchiamo di incontrare persone d’accordo con noi; ci ritiriamo nel recinto limitante dell’uniformità, come fosse un impulso primordiale di protezione.

La mia seconda reazione è la rabbia. Voglio imprecare, fermarmi e dare un po’ di senso a questo mondo turbolento. Non è ora di crescere e di fare i bravi? Ma poi mi rendo conto che la mia rabbia nasconde qualcosa di più profondo. Sotto c’è in agguato l’oscurità. Sono indifeso e senza speranza, impotente mentre i predoni bruciano il villaggio.

Questa mattina, tra l’assalto di storie sui miei media, un tempo divertenti e “social”, ho visto una citazione del Dalai Lama, forse questa:

“…usiamo il breve tempo qui, per vivere una vita significativa, arricchita dal nostro senso di connessione con gli altri e dal porci al loro servizio”.

La mia prima reazione, questa mattina? No.

Ma a una riflessione più profonda, la mia terza reazione è sì. Questo è il mondo in cui credo. Questo è il mondo in cui sto trascorrendo la mia vita.

Come ti senti? Sento la tempesta del cambiamento.

Sì, sono scioccato dai teppisti con le torce di bambù, inorridito dalla brutalità che sembra dilagare ovunque. Sono terrorizzato nel vedere la profondità della depravazione umana. Disperato. Provo rabbia. Mi sento impotente. Eppure allo stesso tempo, mi sento feroce. Sento crescere la determinazione e le voci che risuonano nella mia testa e nel mio cuore dicono: mai più.

Oggi ho camminato in riva all’oceano e ora sento l’infrangersi delle onde. Potenti, incessanti, persino brutali – eppure sono bellissime quando la luce brilla attraverso l’acqua. Questo è il paradosso delle emozioni. Questi sentimenti non si annullano a vicenda. Coesistono; letteralmente sono sostanze chimiche che si mescolano e si agitano dentro di noi e ci preparano a resistere… o almeno a provarci.

Sono Così Stressato

Nel tentativo di semplificare, spesso traduciamo questo temporale di sentimenti con una parola: Stress. Mi piace la definizione di Kelly McGonigal che troviamo nel suo libro, The Upside of Stress: “Lo stress è quando le nostre sfide percepite sono maggiori delle nostre risorse percepite”. Di fronte a queste sfide intense, brutali e impossibili, mi sento inadeguato, sento di non avere risorse per risolvere i problemi, e voilà lo stress.

Eppure le ricerche di McGonigal e altri gettano luce su una verità fondamentale delle emozioni: i sentimenti sono potere. L’autrice riporta che Il modo in cui pensiamo allo stress cambia la nostra reazione ad esso. Lo stress e l’eccitazione sono gemelli. Questo può essere vero, forse, per la disperazione e la determinazione?

I sentimenti sono un potere. Come possono divenire risorse contro un’invasione di brutte notizie?

Se stress significa “il problema è più grande delle mie risorse”, dobbiamo ridurre il problema o aumentare le nostre risorse. E se l’emozione stessa fosse una risorsa? E se la nostra paura fosse una voce di chiarezza? La rabbia la voce di una convinzione e la nostra impotenza una voce di solidarietà? E se tutti questi sentimenti turbolenti, questa tempesta di emozioni, fosse sfruttata per fare un passo avanti?

Come trasformiamo le nostre emozioni turbolente in risorse?

1. Smettila di nasconderti.
Va bene avere emozioni forti. Le emozioni forti indicano che sta succedendo qualcosa di importante.

2. Diventa realista.
I nostri sentimenti si basano sulle nostre percezioni del mondo. Non accettare le poche informazioni che ricavi dall’iPad. Vai fuori. Ascolta le persone reali. Guarda il tuo vicino discutere con suo figlio su come tagliare il prato e il garzone al negozio di alimentari flirtare con la cassiera. Il mondo degli opinionisti e dei politici è finzione, il mondo reale è quello intorno a noi.

3. Attivati.
Canalizza l’energia in qualcosa di utile. Vai a fare una passeggiata. Parla con un amico. Scrivi una lettera. Ma soprattutto, trova qualcuno da sostenere.

Per trasformare le emozioni in risorse: smettila di nasconderle. Entra in contatto con persone reali. Diventa una persona attiva.

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Le Grandi Ripercussioni delle Piccole Azioni

Nel mondo dei grandi titoli di prima pagina possiamo essere impotenti, ma la vita reale è diversa, è il nostro universo. Forse non possiamo cambiare il corso della storia, ma possiamo cambiare il corso delle nostre vite. Nei poemi epici ci sono i malvagi e gli eroi magnifici – magnifici nel senso di ingigantiti. Nel mondo reale, i cattivi sono persone normali che cercano di farsi rispettare perché non riescono a trovare in loro stessi l’amore ed il rispetto che desiderano. Sono piccoli bulli che ridono di un bambino spinto a terra, o il burocrate che dice “aspetta in fila”, quando file non ce ne sono. Gli eroi siamo tutti noi, gente comune che vive nel tempo ordinario e che in metropolitana si volge ad aiutare qualcuno in difficoltà con la valigia.

Natalie Hampton è stata vittima di bullismo alle medie, aggredita e molestata fino ad arrivare ad un livello di stress e depressione devastanti. Quando ha cambiato scuola ha avuto la possibilità di riprovare. Ricordando la disperazione del doversi nascondere da sola durante il pranzo, desiderava aiutare coloro che soffrono per l’isolamento; ha creato così un’App, Sit with Us – Siedi con noi. Ecco l’intervista che abbiamo realizzato con lei lo scorso anno.

Il lavoro di Natalie è cresciuto al punto che poche settimane fa ha parlato alle Nazioni Unite. Questo fine settimana l’abbiamo raggiunta e lei ha condiviso con noi la storia di una sua compagna che stava affrontando un problema simile, e che l’avrebbe ispirata a creare Sit with Us. Spontaneamente, a pranzo, Natalie chiese a questa ragazza: “Vieni a sederti con noi” . Anni dopo la ragazza confidò a Natalie grossomodo questo: Avevo iniziato a farmi del male, e stavo pensando al suicidio, ma quel semplice invito a pranzo cambiò tutto per me. Natalie ha recentemente raccontato la storia della creazione di Sit with Us in un discorso TEDxTeen decisamente bello. Conclude:

Attraversiamo la vita non sempre consapevoli delle persone che ci circondano. Quindi, se ti prendi solo un secondo per essere più percettivo e più gentile, immagina cosa potresti fare.

Lo dice senza clamore, ma è una verità profonda, duramente conquistata. Il nostro più grande potere ci richiede solo attimi di attenzione, momenti di azione compassionevole. Nel mondo reale, non soffriamo per le “fake news” o per le meschinità presidenziali. Nel mondo reale soffriamo perché oggi ci sentiamo persi, soli e indifesi, e una piccola azione cambia il nostro momento. Il momento si diffonde in un altro momento e in un altro ancora, e le nostre vite vengono trasformate da questi atti elementari di decenza umana. Di connessione umana.

Chiama tua madre

Michael Miller, uno scrittore del nostro team ed editore della biblioteca EQ.org, mi ha detto che i suoi genitori erano a Las Vegas nel fine settimana. Quando vide la notizia, la chiamò, erano al sicuro. Il momento più sorprendente per lui fu: realizzare di non chiamare la madre abbastanza spesso.

Sembra niente eppure è come la storia di Natalie. In un momento è contenuto un mondo intero. CI SENTIAMO disconnessi, ma la maggior parte di noi appartiene a diversi circuiti. Circoli di amici, di famiglia, di quartiere, di chiesa / sinagoga / moschea, di bowling, di compagni d’ufficio. Questi sono i nostri circuiti di influenza. Queste sono le sfere del nostro essere più profondo.

Certo puoi chiamare i tuoi funzionari eletti, se hai la fortuna di vivere in un posto dove è possibile. Ma se vuoi davvero cambiare il mondo? Chiama tua madre. Chiama il tuo amico d’infanzia. Chiama quella persona con cui hai ballato in seconda media e che non hai mai avuto il coraggio di chiamare dopo. Con questi piccoli gesti sfidiamo i politici che cercano di dividerci per rafforzare il proprio potere. Sfidiamo le futili differenze su cui tanto i media si concentrano così ardentemente.

Le statistiche dicono che siamo più soli e spaventati come mai nella storia. Abbiamo pochissimo potere di influenzare i 7,5 miliardi di persone. Abbiamo pochissima capacità di cambiare il corso del riscaldamento globale. Non abbiamo quasi nessuna capacità di fermare i proiettili volanti. Ma abbiamo la capacità quasi infinita di condividere amore e compassione.

Ho sentito qualcosa sulla nostra cultura che sarebbe molto interessata agli “eroi” in quanto persone che entrano in battaglia per affrontare un conflitto. Raramente facciamo lo stesso sforzo nel riconoscere un processo molto più intenso di crescita, guarigione, cura, insegnamento, creazione. Ci vuole un attimo per distruggere qualcosa e una intera esistenza per creare. Adoperiamoci a spendere la nostra vita a creare nel mondo reale, con quell’enorme potere che ognuno di noi ha di connettersi. Un sorriso. Un invito a pranzo. Un momento di servizio generoso. Un abbraccio. Poi un altro.