Perché i leader dovrebbero interessarsi ai sentimenti?
Nel 1995 Daniel Goleman ha trasmesso un’ondata di speranza in tutto il mondo, presentando la scienza rivoluzionaria dell’Intelligenza Emotiva in un’opera avvincente, dallo stesso titolo. Il suo libro del 2006 “Social Intelligence: The New Science of Human Relationships” ha portato il tema a un nuovo livello, dimostrando come le emozioni siano una componente fondamentale della leadership e dell’apprendimento.
Qual è l’imperativo della leadership per ottimizzare le prestazioni, e la ricerca che fa dell’attenzione ai sentimenti una priorità assoluta?
In Emotional Intelligence: Why It Can Matter More Than QI, Goleman ha riportato una serie di ricerche e di procedure a sostegno di come l’abilità nel gestire le emozioni, sia importante quanto l’abilità nel gestire altre forme di dati (come quelli misurati nei test sul QI).
Attraverso l’analisi delle teorie scientifiche (inclusi i lavori di Salovey, Mayer, BarOn e Damasio) e dei programmi di apprendimento (incluso il processo di Self-Science di Six Seconds’) Goleman ha appurato che tutti i modelli di intelligenza emotiva si rivolgono sia al mondo interiore che al modo in cui ciò che è interiore influenza l’esterno. Ciò lo ha portato a prendere in considerazione la dimensione sociale dell’intelligenza emotiva.
Ho chiesto a Goleman di spiegare come “Social Intelligence” si connette a questo lavoro precedente:
“L’intelligenza sociale è la parte interpersonale dell’intelligenza emotiva. Il mio modello di IE è composto da quattro domini: consapevolezza di sé, autoregolazione emotiva, empatia e consapevolezza sociale, e abilità sociali (o gestione delle relazioni). Questi ultimi due, le componenti dell’empatia e le abilità sociali, sono ciò che compongono l’intelligenza sociale”.
All’epoca del primo libro sull’Intelligenza Emotiva, il campo era molto giovane. Goleman ha diffuso l’evidenza che stava allora emergendo, sul fatto che le emozioni possano effettivamente aiutare a pensare. Le tecniche di imaging delle neuroscienze stavano progredendo abbastanza, da fornire indicazioni su come il cervello elabora effettivamente le informazioni; ricercatori e operatori iniziavano a misurare e ad insegnare questo collegamento.
Dopo più di un decennio, la scienza ha fatto passi da gigante e il libro di Goleman del 2006 ne documenta alcuni sviluppi fondamentali. “Non avrei potuto scrivere questo libro nel momento in cui ho scritto Intelligenza Emotiva, perché questa disciplina è così nuova, non esisteva nel 1995. Nel campo delle neuroscienze sociali è stata pubblicata la prima rivista solamente negli ultimi mesi; queste ampliano l’area di studio dal cervello-corpo-persona, a due o più cervelli-corpi-persone. In altre parole, sono le neuroscienze di quello che accade durante l’interazione. Ciò risulta essere di straordinaria importanza a livello di conoscenza e ci aiuta a comprendere il circuito parallelo alla base delle nostre relazioni”.
Anche a distanza: un’emozione si trasmette tra individui e gruppi, influenzando il processo decisionale, l’impegno e le prestazioni. Gli individui che esercitano potere e influenza, suscitano un effetto ancora maggiore.
Le Neuroscienze delle Connessioni Umane
Il “circuito parallelo” è una scoperta fenomenale che, come molte altre scoperte, è avvenuta per caso. Il neuroscienziato Giacomo Rizzolatti, MD, e i suoi colleghi dell’Università di Parma, stavano mappando il cervello delle scimmie per studiare il funzionamento di alcune aree specifiche [1]. “Stavano monitorando una cellula – racconta Goleman – che sparava solo quando la scimmia alzava il braccio. Un giorno la cellula ha sparato anche se la scimmia non aveva mosso il braccio, ma stava semplicemente guardando un assistente di laboratorio che mangiava un gelato. Ogni volta che l’uomo alzava il braccio, la cellula della scimmia sparava”. In altre parole, il neurone si attivava come se fosse stata la scimmia stessa ad agire. “Si è scoperto che è esattamente quello che accade anche nel cervello umano. Come vediamo qualcosa, in noi si attiva quello schema”.
Abbiamo chiesto di questa storia sulle origini a Marco Iacoboni, uno dei pionieri della ricerca sui Neuroni Specchio. Egli ha raccontato che una scimmia c’era davvero… e che i dottorandi hanno fornito una lettura del fenomeno, sulla quale il loro professore aveva dei dubbi. Tutti “sapevano” come funzionano i neuroni motori…, ma scoprire i neuroni specchio è stata una enorme sorpresa. Questa struttura, ha affermato Iacoboni, potrebbe essere la base neurale dell’empatia.
Il lavoro sui neuroni specchio continua a procedere in tutto il mondo. Christian Keysers e Bruno Wicker hanno dimostrato che le emozioni di una persona attivano i neuroni specchio di un’altra persona [2]. All’Università di San Diego, il Dr. V.S. Ramachandran ha analizzato il legame tra neuroni specchio e autismo. Iacoboni ha trovato che i neuroni specchio collegano le nostre aree sociali, comportamentali, motorie e cognitive. In sostanza, il nostro cervello reagisce costantemente all’ambiente e cambia letteralmente in base alle persone che ci circondano.
“I neuroni specchio sono una sorta di “wi-fi neurale” che monitora ciò che sta accadendo agli altri. Questo sistema traccia le loro emozioni, quali movimenti stanno facendo, cosa intendono e attiva nel nostro cervello precisamente le stesse aree cerebrali attive nell’altra persona”.
Goleman prosegue: “Ciò ci pone sulla stessa lunghezza d’onda e in modo automatico, istantaneo e inconscio”. Ora, nel 2020, mentre apprendiamo di più sulle modalità di interconnessione delle persone, c’è un’aggiunta sorprendente e importante: quando ci colleghiamo online, il nostro cervello sociale è meno attivato. Questo significa che come leader, quando lavori a distanza devi essere ancora di PIÙ consapevole di coinvolgere le emozioni degli altri.
Emozioni e Conclusioni
“Essere sulla stessa lunghezza d’onda” è bello quando un gruppo funziona bene, ma tutti sappiamo quanto una persona difficile possa sabotare il flusso – soprattutto quando si tratta del capo. Le emozioni sono contagiose, l’umore di una persona cambia letteralmente il cervello degli altri. “Poiché il cervello sociale ci collega in modo così intimo, ci fornisce i meccanismi che rendono le emozioni contagiose; le emozioni più contagiose provengono dalla persona con maggiore influenza in un determinato ambiente. Questo significa che, per esempio, se un capo è arrabbiato o sminuente o ipercritico, crea nella persona bersaglio uno stato tale da impedirle di fatto di lavorare al meglio. Quindi quel boss si sta, in sostanza, creando i propri problemi”.
Per un decennio i trainer ed i coach EQ, hanno lavorato con i leader per renderli più consapevoli dell’ombra che proiettano o della luce che diffondono a livello emotivo. Goleman dichiara che ora le neuroscienze supportano questo fatto in modo così deciso, che anche la tipologia di capo piu’ “lascia quei sentimenti fuori la porta” non può non considerare le ripercussioni emotive delle sue reazioni.
Eppure, per i leader orientati alla quantità e al bilancio, questo disquisire di emozioni sdolcinate, non è solo una distrazione dal compiere il proprio dovere? Non è così sostiene Goleman, perché anche il dirigente più orientato ai fogli di calcolo, deve interessarsi al funzionamento ottimale. “Il cervello è progettato per avere una relazione reciproca tra stati di eccitazione emotiva negativa e stati di efficienza cognitiva ottimale. Efficienza cognitiva ottimale significa che il cervello sta lavorando al meglio nello svolgere un determinato compito”.
“Se vuoi una produttività massima e un lavoro che ottenga i risultati migliori”, prosegue, “vuoi anche che le persone che eseguono quel lavoro siano nello stato cerebrale ottimale per poterlo svolgere. Sei una persona che le può allontanare dalla zona di prestazione ottimale, gestendo in modo poco adatto le tue interazioni con loro. Quindi sta a te assumerti la responsabilità del tuo impatto sulla capacità delle persone di lavorare al meglio “.
La conclusione è che “i leader devono assumersi maggiori responsabilità per l’impatto che hanno sulle persone che guidano e sulle persone che li circondano, coma anche su ogni collega”.
Le Emozioni Guidano il Lavoro di Squadra
L’intelligenza sociale fornisce numerosi esempi a sostegno di questa accresciuta consapevolezza emotiva. Uno dei quali proviene da uno studio svolto presso la Scuola di Management dell’Università di Yale. “Gli attori erano stati reclutati per partecipare a dei gruppi che collaboravano ad un progetto. Quando l’attore con il ruolo del leader era molto ottimista, positivo e cordiale, le persone si sentivano ottimiste e come squadra funzionavano meglio, secondo criteri oggettivi. Se, tuttavia, il leader era critico, arrabbiato e negativo, tutti gli altri divenivano insoddisfatti, stressati e di conseguenza come squadra funzionavano peggio “.
I “neuroni specchio” formano una sorta di mappa biologica del mondo osservato, imprimendo letteralmente nel nostro cervello i comportamenti altrui.
Le nuove neuroscienze forniscono argomentazioni convincenti per i leader: Il vostro comportamento e il vostro atteggiamento hanno un effetto potente sulle prestazioni.
Le emozioni sono messaggi dentro e tra di noi.
Per condurre le persone a lavorare, apprendere, impegnarsi in modo efficace: comprendere e USARE le emozioni è fondamentale.
Le Emozioni sono Contagiose
Facciamo degli esempi: in uno studio ormai classico, Alice Isen ha esaminato i radiologi, scoprendo che l’umore positivo ha migliorato la loro accuratezza[3], oppure il lavoro di Sigal Barsade su come gli stati d’animo positivi dei leader aumentino la redditività. In alcune situazioni, invece, un “umore cattivo” sembra essere più efficace. Ad esempio, Kimberly Elsbach e Pamela Barr hanno scoperto che le persone di malumore utilizzano un approccio più strutturato ai processi decisionali, ma anche loro non sono sostenitrici delle “organizzazioni di cattivo umore”. Piuttosto, l’umore o i sentimenti, sono una parte del processo di valutazione e, come concludono Elsbach e Barr: “Nel prendere decisioni complesse, l’umore conta”[4].
“L’errore che viene commesso dalle Risorse Umane è che quando intravedono qualcuno individualmente brillante, trattasi di un chirurgo o un programmatore di computer, lo promuovono a capo del team o a capo della divisione, supponendo che ciò che lo ha reso così bravo a livello individuale, lo aiuterà ad essere leader. Però, se risulta carente nelle competenze di intelligenza emotiva, di empatia e di abilità nell’interazione, sarà invece un fallimento. E questo nelle organizzazioni accade ancora e ripetutamente”.
Dirigere le scuole con Intelligenza Sociale
La nuova scienza dell’Intelligenza Sociale ha profonde implicazioni anche sull’istruzione e sulla genitorialità. Proprio come i leader possono allontanare i membri del loro team da uno stato mentale che ne favorisce le prestazioni ottimali, lo stesso vale per le classi scolastiche. In sostanza: l’atteggiamento e la cura dell’insegnante sono importanti almeno quanto la tecnica e il contenuto dell’insegnamento. Come afferma la neurobiologa Mary Helen Immordino-Yang: l’Apprendimento è Sociale. A livello scolastico, ciò significa che il tono emotivo della scuola ne edifica o ne viola l’efficacia.
Per i bambini e gli adulti, i neuroni specchio e le emozioni contagiose significano che il modellamento dei ruoli conta più che mai. “I neuroni specchio confermano realmente l’importanza del modellamento dei ruoli perché, come sappiamo, le persone possono apprendere vedendo qualcuno eseguire bene un qualcosa. Comprendiamo ora il meccanismo: quando guardiamo qualcun altro esibirsi, ciò provoca in noi lo stesso schema di attivazione. I bambini lo fanno sempre, è così che imparano in modo molto veloce e vorace. Apprendono praticamente tutto ciò che fanno, senza che gli venga detto esplicitamente come. Vedendo gli altri, le persone sviluppano una mappa interna del comportamento osservato”. Questi schemi di attivazione speculare, diventano una sorta di modello, una mappa, che rende l’imitazione così semplice.
Le Competenze per Prestazioni Ottimali
Nel modello Six Seconds di Intelligenza Emotiva, questa consapevolezza viene acquisita attraverso una serie di abilità chiamate “Dai te stesso”.
Poiché abbiamo un’influenza così profonda l’uno con l’altro – tale che letteralmente plasmiamo il cervello l’uno dell’altro, diventa fondamentale considerare le onde che inviamo. Aneddoticamente è evidente che alcuni leader stimolano prestazioni ottimali perché sono molto motivati e operano con livelli di integrità notevolmente elevati. Sembrano emettere una sorta di forza magnetica che estrapola il meglio dalle loro risorse. Ora, le neuroscienze emergenti ci aiutano a capire perché tali “segnali umani” sono così potenti.
Note:
[1] Experimental Brain Research (Vol. 91, No. 1, pages 176-180), 1992 – Ecco un ottimo articolo sulla storia di questa scienza: http://www.apa.org/monitor/oct05/mirror.html — e un link allo speciale NOVA: http://www.pbs.org/wgbh/nova/sciencenow/3204/01.html
[2] Neuron (Vol. 40, No. 3, pages 655-664), 2003
[3]Per esempio, il capitolo di Alice Isen’s su “Positive Affect and Decision-Making” in The Handbook of Emotion (1993).
[4] Vedi K Elsbach and P Barr, Effects of Mood on Individuals’ Use of Structure Decision Protocols, Organization Science, 10-2, 1999.
The Neural Power of Leadership è stato pubblicato per la prima volta il 27 febbraio 2007.