Fin dalla giovane età sono stato costretto a confrontarmi con la domanda su come affrontare le emozioni difficili: tristezza profonda, rabbia, paura e ansia. Quando provi queste emozioni spiacevoli – a casa, al lavoro o ovunque – cosa dovresti fare?
Come puoi rispondere in modo emotivamente intelligente, affinché queste emozioni difficili diventino un catalizzatore per migliorarti ed essere più forte?
Ecco 3 suggerimenti di esperti, su come affrontare le emozioni difficili – e trasformarle in tue alleate.
#1 Rompi il mito delle emozioni negative
Rabbia. Paura. Gelosia. Tristezza. Quando abbiamo chiesto a persone provenienti da tutto il mondo cosa ne pensavano di queste emozioni, le risposte sono sempre state le stesse. Sono “negative” o “cattive”. Questo è ciò che la maggior parte di noi è stata sempre abituata a pensare. La gioia e la contentezza sono emozioni buone e le altre sono emozioni cattive. Di sicuro si percepisce questo.
Ma cosa facciamo con ciò che non ci piace? Lo respingiamo, lo nascondiamo, lo travestiamo da qualcos’altro. Lo controlliamo. E poi, ci ritroviamo bloccati nel circuito della lotta contro i nostri stessi sentimenti. Le emozioni difficili le sentiamo, ma poi subito le respingiamo, fingiamo che non esistano o distogliamo da queste furbescamente l’attenzione. È ora che rompiamo questo ciclo e sfatiamo il mito dell’esistenza delle emozioni cattive. Altrimenti, non possiamo dare ascolto ai nostri sentimenti in qualità di alleati; come sostiene Joshua Freedman (CEO di Six Seconds):
“Denigrare le nostre stesse emozioni è il più grande e unico ostacolo all’intelligenza emotiva”.
Dopotutto, le emozioni difficili si sono evolute con gli esseri umani per milioni di anni e questo perché servono a uno scopo. La funzione di un’emozione è focalizzare la nostra attenzione e motivarci verso una specifica linea di azione. Sono intrinsecamente neutre: ti fanno semplicemente sapere dove sei e come sembrano procedere le cose. In questo senso, le emozioni – anche quelle difficili come la rabbia, la paura e la tristezza – sono dei dati.
Quindi, la prossima volta che provi emozioni difficili ricordati: le emozioni sono dati. Invece di pensare che siano cattive e respingerle, abbracciale. “Mi sento triste. Mi chiedo: perché? Cosa mi sta dicendo questa emozione?”
Quindi, se il primo passo è porre fine a questa lotta interna, qual è il passo successivo? Iniziare a trasformare quell’emozione.
Quando sopprimiamo o ignoriamo le emozioni difficili, la vera vittima è il nostro stesso benessere.
#2 Dillo così com’è: Sono terrorizzato da quella tarantola
Una volta che hai iniziato a liberarti dal senso di colpa che è spesso associato al provare emozioni difficili, puoi iniziare il processo di trasformazione di quell’emozione, che si tratti di paura, rabbia, tristezza o altro. E quel processo inizia chiamando l’emozione con il suo nome.
Molte ricerche recenti suggeriscono che, quando diamo un nome alle nostre emozioni, esse perdono parte del loro potere e si apre per noi l’opportunità di fare scelte migliori e più consapevoli.
Prendi in considerazione questo esperimento svolto presso l’Università della California, a Los Angeles. La dottoressa Michelle Craske ha verificato l’ipotesi di etichettare le emozioni, con un gruppo di partecipanti che avevano paura dei ragni. Ha iniziato l’esperimento facendoli avvicinare a una grande tarantola viva, posta in un contenitore aperto, all’aperto (hai letto bene) e ha detto loro di continuare ad avvicinarsi fino a toccarla, se riuscivano. Poi i partecipanti sono stati riportati dentro, messi di fronte a un’altra tarantola viva messa in un contenitore e divisi in quattro gruppi, a seconda delle istruzioni ricevute su come considerare il ragno.
Al primo gruppo è stato chiesto di descrivere l’esperienza di stare intorno al ragno e classificare ciò che stavano provando. Ad esempio, “Ho paura di quella tarantola enorme e pelosa”. In realtà, questo è un modo radicale di rispondere. Normalmente, l’obiettivo è far sì che le persone pensino al ragno in modo diverso, affinché appaia meno minaccioso – e questo è esattamente ciò che è stato chiesto di fare al secondo gruppo. Questi direbbero, ad esempio, “Il ragno è in gabbia e non può farmi del male quindi non ho bisogno di avere paura”. Al terzo gruppo è stato chiesto di pronunciare qualcosa di irrilevante sul ragno, e il quarto gruppo è stato semplicemente esposto, senza avere il compito di parlare.
Una settimana dopo, tutti i partecipanti sono stati nuovamente esposti alla tarantola viva all’aperto, dicendogli di avvicinarsi il più possibile e di toccarla con un dito, se riuscivano. La dott.ssa Craske e i suoi colleghi hanno misurato il grado di avvicinamento al ragno di tutti i partecipanti, quanto ne erano terrorizzati e le loro risposte fisiologiche, in particolare la sudorazione delle mani, che sappiamo essere una buona misura della paura. Cosa hanno trovato? Il gruppo che ha etichettato la paura del ragno, ha funzionato molto meglio degli altri. Le persone si avvicinavano, erano emotivamente meno eccitate e le loro mani sudavano molto meno.
Che cosa significa? Dare un nome alle emozioni sembra colmare il divario tra pensieri e sentimenti; rendere un’emozione l’oggetto della tua analisi cognitiva, sembra diminuire la sua naturale intensità. Quindi la prossima volta che provi un’emozione difficile, inizia ad etichettarla: sono arrabbiato o triste o ansioso. Dillo, così com’è.
Etichettare un’emozione ne riduce l’intensità, secondo le ricerche dell’UCLA. Denominare i sentimenti diminuisce l’attività dell’amigdala: “denomina e domina”.
Piccolo Inciso di Neuroscienze: cosa succede nel cervello quando etichettiamo un’emozione? Matthew Lieberman, professore di psicologia all’UCLA, usa la tecnologia della risonanza magnetica funzionale (fMRI) per rispondere a questa domanda specifica. Quando ai soggetti viene mostrata l’immagine di un volto che esprime una forte emozione, il cervello mostra una maggiore attività dell’amigdala – una componente del cervello coinvolta nella generazione delle emozioni. Quando ai soggetti viene detto di etichettare l’emozione, mostrano una minore attività dell’amigdala e un aumento dell’attività nell’area del lobo frontale destro, nota come corteccia prefrontale ventrolaterale destra, una regione coinvolta nella vigilanza e nella discriminazione. Questo semplice atto di dare un nome all’emozione sposta la nostra attività cerebrale e sembra avere l’effetto di ridurne l’intensità.
#3 Accogli l’aiuto e prepara un piano
Le emozioni, anche quelle difficili, sono in realtà solo messaggi. E quando impariamo ad ascoltare tali messaggi e lasciamo che ci aiutino a rispondere, possiamo trasformare le dinamiche del potere. Invece di sentirci sopraffatti dalle nostre emozioni difficili e invasi dalla loro negatività, ci sentiamo come se avessimo un aiutante, un alleato che ci guida nel labirinto della vita..
Immagina questo… sei in macchina e il tuo telefono inizia a parlarti. È una specie di voce robotica, sgradevole e continua a dirti dove andare. Ti sei già perso e questa distrazione in più non favorisce certo le cose, quindi provi a spegnere il volume e se non funziona, lo butti nel retro dell’auto. Puoi ancora sentirlo, ma almeno non è così travolgente. Questo, in un certo senso, è quello che facciamo troppo spesso con le emozioni. In realtà sono un GPS incredibilmente sorprendente, che ci fornisce dati su dove siamo, dove vogliamo andare e cosa c’è nel mezzo. Ma dobbiamo imparare ad ascoltare quei messaggi e a non liquidarli come semplici distrazioni.
Quindi, ancora una volta, quando provi emozioni difficili ricordati che sono lì per aiutarti. Sono dati, messaggi. Poi, vai a fondo su quello che quell’emozione ti sta dicendo. Solo in questo modo puoi attingere al potere delle emozioni e godere dei benefici dell’EQ. Ma devo avvertirti: le emozioni possono essere complesse, stratificate, persino contraddittorie. Quindi ecco una tabella di marcia – e una grande risorsa – per lavorare con le emozioni. Inizia ponendoti queste domande:
Cosa sto provando? E che altro?
Qual è il messaggio generale di quell’emozione? È qui che la Tabella dei Sentimenti dell’Emotoscopio di Six Seconds ti sarà estremamente utile.
Esempio
L’altro giorno mi sono sentito orribile. Ho semplicemente avuto troppo da fare. È il periodo più impegnativo dell’anno nell’azienda in cui lavoro. Sto organizzando la logistica dei nostri spostamenti di Natale e dell’intervento al ginocchio della mia partner a gennaio. Viviamo e lavoriamo in una azienda stagionale, quindi è più impegnativo di quanto sembri. Così, mi sono seduto con in mano la scheda ricevuta da Six Seconds, la Tabella dei Sentimenti dell’Emotoscopio. È suddivisa in 4 categorie: Rabbia, Tristezza, Gioia e Paura, ognuna delle quali è a sua volta suddivisa in varianti di intensità, ad esempio per la Rabbia ci sono 15 gradazioni, che vanno dall’irritazione alla furia. E poi c’è una breve frase che descrive cosa ti sta dicendo quell’emozione.
Così, sono andato alla pagina della Tristezza. Sapevo che in genere era così che mi sentivo. E una delle prime varianti della tristezza era “Sopraffatto” – mi sento sopraffatto perché stanno succedendo troppe cose. Sì. Era esattamente come mi sentivo. E sotto la voce Scopo? Appare scritto: Ti sfida a stabilire delle priorità. Oh, certo! Il messaggio che questa sensazione di sopraffazione mi sta inviando è che ho bisogno di sedermi e porre delle priorità, fare un piano. Il cambiamento è stato sorprendente. Sono passato dalla sensazione che questa emozione fosse una nuvola oscura su di me e che mi rallentava, alla realizzazione che mi stava indicando la giusta direzione. Avevo bisogno di sedermi e assegnare delle priorità a tutte le attività della mia lista. E quando l’ho fatto, mi sono sentito molto meglio.
Strumento Chiave: Dai un Nome alle Tue Emozioni
Si tratta di una pratica incredibilmente potente per i professionisti dell’IE, coach, educatori o chiunque voglia sentirsi più padrone della propria vita. Puoi avere la Tabella delle Sensazioni dell’Emotoscopio cliccando sul pulsante qui sotto, e farvi riferimento quando hai a che fare con emozioni difficili.