Nelle ultime ore, molte persone mi hanno segnalato una news che circola in rete e che appare nell’immagine sotto (ecco il link qualora vogliate leggere l’articolo): la sperimentazione in Cina di un caschetto in grado di aumentare la performance organizzativa attraverso la lettura delle emozioni dei dipendenti.
Una notizia che non può lasciare indifferenti e che rischia di creare due fazioni: chi è a favore della tecnologia e chi invece no. Credo che però sarebbe un errore se ciò accadesse ed è per questo che mi sento di lasciare un breve commento a riguardo….
Faccio un premessa. Quando parlo di intelligenza emotiva in azienda, presto o tardi arriva la domanda fatidica… ma funziona? (dove con “funziona” si intende “ha un impatto sui risultati? perché è tutto molto bello, ma se presidiare la componente emozionale non mi fa guadagnare di più io ho un problema”).
Solitamente rispondo affermativamente ma, al contempo, cerco di spostare il focus sul reale valore aggiunto che vedo nello sviluppo delle competenze emotive: far sì che le persone possano guidare un processo di cambiamento che si sta facendo sempre più aggressivo nell’azienda 4.0.
Leggendo il taglio dell’articolo, è evidente però che l’interesse da sottolineare è primariamente quello economico. Nell’articolo in questione, infatti, si dà un’altra volta evidenza dell’impatto economico che si ottiene presidiando la dimensione emotiva (niente di nuovo per me), ma al contempo si lancia un allarme: l’utilizzo di questa nuova tecnologia rischia di diventare uno strumento di controllo. Da qui nasce facilmente la domanda: l’innovazione tecnologica è un aiuto o il preludio ad una nuova forma di schiavitù?
Ora, la mia opinione è la seguente:
il cambiamento del mondo del lavoro, delle aziende e della società in generale è in atto ed aumenterà sempre più la sua velocità. Si parla di Quarta Rivoluzione Industriale come di un processo dove l’Intelligenza Artificiale entrerà sempre di più nelle organizzazioni ad una velocità mai vista prima e con impatti rivoluzionari. Interessante notare come l’avanzamento tecnologico stia sempre più prendendo la direzione del presidio emozionale (vedi caschetto, sistemi di rilevazione delle emozioni facciali duranti i colloqui di selezione, come Sofia sia in grado di interagire con le persone, etc). È sempre più evidente quanto le emozioni siano la reale chiave della performance. È per tale motivo che in Six Seconds amiamo dire “Emotions drive People. People drive Performance”.
E qui arrivo al punto.
Sono convinto che la percezione che avremo di questi nuovi strumenti dipenderà molto dalla cultura che le organizzazioni saranno state in grado di creare. Quanto più le aziende avranno realmente investito nello sviluppo delle competenze emozionali, rendendo manager e collaboratori consapevoli, intenzionali ed “in controllo” del processo, tanto più questi tool saranno percepiti ed utilizzati per quello che sono: semplici strumenti che aiutano l’uomo a prendere decisioni affinché la performance vada a braccetto con il benessere.
Se invece le aziende non prenderanno questa strada (o anche solo avranno un atteggiamento attendista), sono certo che andremo sempre più verso un “outsourcing emozionale” demandando alla tecnologia ciò che ci rendi umani e trovandoci a combattere per non farci fagocitare dal sistema che proprio noi saremo andati a costruire.
A questo punto occorre chiedersi: vogliamo essere parte del problema o parte della soluzione?
A noi la scelta.