Con l’inserimento dell’Intelligenza Emotiva al 6° posto nella classifica delle competenze vincenti sul lavoro nel 2020, il World Economic Forum ha avvalorato un trend che da qualche anno si fa sempre più marcato: in azienda, così come nella scuola ed in ogni contesto familiare e sociale, l’attenzione verso le cosiddette soft skills non può più essere considerata di importanza secondaria. Solo in apparenza paradossalmente, nello stesso momento in cui ci avviciniamo a passi spediti al cuore della Quarta Rivoluzione Industriale, caratterizzata dal protagonismo dell’automazione in tutte le attività umane e dagli straordinari sviluppi dell’Intelligenza Artificiale, diventa ancora più urgente preservare tutte quelle capabilities relazionali che ci consentano di guidare, anziché subire, il cambiamento.
In contesti aziendali sempre più frenetici, mutevoli e complessi, mai come ora le keywords privilegiate da chiunque voglia avere voce in capitolo e parte attiva in questa trasformazione epocale devono essere flessibilità, fiducia e intelligenza emotiva (IE). Quest’ultima non si contrappone, come da molti ritenuto, al pensiero razionale, né si tratta di un accessorio di secondo rilievo rispetto alla logica: le neuroscienze hanno, infatti, da tempo spiegato la correlazione fisica tra corpo ed emozioni e l’assoluta imprescindibilità di ogni processo decisionale dalle emozioni stesse. Allenare la nostra Intelligenza Emotiva, quindi, significa concederci un’opportunità per essere ed agire in maniera più consapevole, intenzionale e strategica, nella vita di tutti i giorni, in famiglia e in campo professionale. Nell’azienda 4.0, l’IE può generare una molteplicità di benefici e innescare diversi processi virtuosi, non soltanto per coloro che detengono posizioni di leadership:
- fa dialogare la parte razionale del cervello con quella emozionale, migliorando ed orientando i processi decisionali;
- permette di comprendere meglio noi stessi e gli altri, riconoscendo punti di forza e debolezza di ciascuno per ottimizzare il lavoro di squadra;
- predispone all’ascolto attivo e all’empatia e, conseguentemente, ad una maggiore apertura ai feedback altrui ed alle diverse opinioni;
- favorisce la circolazione delle informazioni e la comunicazione tra pari e tra manager e team, abbassando i livelli di ansia ed incertezza;
- permette di controllare i livelli di stress, sia a livello decisionale che a livello operativo;
- aumenta la capacità di motivare e “ingaggiare” i collaboratori, coltiva il senso di appartenenza (che non sarà più “subita”, ma rafforzata da convinzioni personali, condivisione degli obiettivi e reale comprensione delle strategie del gruppo);
- alimenta la fiducia come driver della produttività, della retention, di un clima aziendale favorevole ed ottimista;
- aiuta a focalizzarsi sulle esigenze e sulle richieste del cliente, “sintonizzandosi” con esso;
- consolida la brand awareness, internamente ed esternamente all’azienda.
Si tratta di una vera e propria rivoluzione nella rivoluzione, economica ma soprattutto culturale: impegnativa, sfidante, e tuttavia inevitabile.