La Commissione consultiva permanente per la salute e la sicurezza istituita presso il governo, ha elaborato e reso pubblico il percorso metodologico che le aziende devono seguire per effettuare la valutazione del rischio stress lavoro correlato. A partire dal 1 Gennaio 2011, le aziende che ancora non hanno effettuato la valutazione del rischio stress, sono obbligate ad attivarsi, pena multe per il datore di lavoro che vanno da 2.500 a 6.400 euro e la reclusione da 3 a 6 mesi.
Dopo un anno di esperienze accumulate, grazie alle aziende che si sono già attivate per effettuare la valutazione del rischio stress da lavoro, e le ricerche che sono state portate avanti in Italia e in Europa per comprendere meglio il fenomeno stress e i suoi impatti sulla salute dei lavoratori e i risultati aziendali, è arrivato il momento di passare all’azione e affrontare il problema.
Cosa sappiamo dunque sullo stress e come possiamo affrontarlo?
I NUMERI
In Europa i lavoratori stressati sono 40 milioni (circa il 22% degli occupati). La cifra in Italia arriva al 27%, con punte del 42% nella sola Lombardia! Lo stress sul lavoro colpisce maggiormente le donne e i lavoratori precari (giovani soprattutto). I settori più a rischio sono la scuola e la sanità (il 35% dei lavoratori è stressato). Le principali fonti di stress sono i carichi e i ritmi di lavoro (1 lavoratore su 4 afferma infatti che i propri orari di lavoro non si conciliano con la vita familiare e sociale).
Lo stress ha una ricaduta pesante per la redditività delle aziende: circa il 50-60% delle giornate lavorative perse ogni anno dipende dallo stress, 77 miliardi di euro sono i costi che le aziende pagano per la perdita di produttività e 20 miliardi di euro per le spese correlate allo stress.
L’Agenzia Europea per la Salute e la Sicurezza sul Lavoro (2009) afferma che il 79% degli imprenditori europei è preoccupato per i rischi derivati dallo stress sul lavoro e per gli incidenti che ne possono derivare, ma solo il 26% adotta misure per ridurre lo stress.
L’OBBLIGO PER LE AZIENDE
Il Dlgs 81 2008 (e le sue modifiche successive, Dlgs 106/2009) aveva introdotto l’obbligo per le aziende di valutare il rischiostress generato dal lavoro al pari di qualsiasi altro rischio per la salute e la sicurezza. L’introduzione di questa norma è stata interpretata dalla maggior parte delle aziende come l’ennesima intromissione dello Stato nelle faccende delle aziende, caricandole di oneri e burocrazia e senza esplicitare come effettuare la valutazione (metodo, competenze, strumenti..), generando di fatto un caos che ha spinto molte aziende a “rischiare” le sanzioni piuttosto che avventurarsi in un percorso sconosciuto e che poteva addirittura essere controproducente e sicuramente costoso. In tempi di crisi economica infatti, con la maggior parte delle aziende nell’ultimo anno alle prese tra cassa integrazione, licenziamenti, ristrutturazioni ecc.. la valutazione dello stress “generato dall’organizzazione del lavoro”, è stata vissuta, per usare un termine “politically correct” quanto meno come “fuori luogo”. L’Accordo quadro europeo del 2004, a cui s’ispirano il Testo Unico e le linee guida del Ministero del Lavoro come riferimento metodologico per la valutazione del rischio, prevede infatti che il datore di lavoro “coinvolga” i lavoratori nel processo di valutazione del rischio e “insieme” definiscano le modalità di riduzione delle sue cause. Di fronte a questa istanza di partecipazione da un lato, e dall’altro la quasi inevitabilità della manifestazione di un rischio stress dovuto al lavoro (vista la crisi economica e la situazione di molte aziende di cui sopra), era inevitabile aspettarsi che le paure dell’effetto boomerang prendessero il sopravvento. E dunque non ci stupisce affatto che sebbene esista ormai un certo livello di preoccupazione diffusa tra gli imprenditori sugli effetti dello stress, di fatto e in concreto solo il 26% delle aziende europee ha iniziato a lavorarci su.
Le indicazioni che arrivano dalla circolare del Ministero del Lavoro non aggiungono sostanzialmente nulla di nuovo a quanto già contenuto nel decreto 81 e alle interpretazioni che ne sono state date dal Comitato tecnico interregionale per la sicurezza o dalle linee guida che diverse Regioni (prima tra tutte la Lombardia evidentemente per la rilevanza che in questa regione sta assumendo il fenomeno) avevano provveduto ad emanare per indirizzare a livello metodologico la valutazione del rischio.
La novità vera è che adesso le aziende devono farlo: non ci sono più dubbi di opportunità o ulteriori indicazioni da ricevere.. e probabilmente, proprio per il persistere della crisi e la necessità per le aziende di trovare nuove vie d’uscita da questa situazione, per far ripartire le innovazioni e il mercato, diventa anche sempre più urgente farlo, visti i numeri che stiamo raggiungendo e i malesseri diffusi. Pena a questo punto, non solo le sanzioni penali, ma anche lo stallo e il progressivo deterioramento del sistema azienda.
COME VALUTARE LO STRESS
Le linee guida della Commissione consultiva sono chiare per certi aspetti, come per esempio nel chiarire la necessità di unire una valutazione dei dati oggettivi dello stress attraverso l’analisi di alcuni eventi sentinella (assenteismo, lamentele, cambi mansioni..) accanto alla valutazione delle cause organizzative, ma evidenziano contraddizioni in altri.
La più evidente di queste contraddizioni è questa: nella circolare si accoglie la definizione di stress come inserita nell’Accordo quadro europeo del 2004 (“lo stress è una condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale ed è conseguenza del fatto che taluni individui non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o aspettative riposte in loro”. art.3, co.1), così come si ribadisce che lo stress da lavoro può dipendere da fattori di contesto e contenuto e che in fase di valutazione su tali fattori occorre sentire i lavoratori e/o i RLS/RLST (proprio perchè lo stress è una percezione soggettiva e anche a fronte di situazioni oggettive più stressanti – tipo la ripetitività del lavoro o i turni – individui diversi possono reagire diversamente, nel senso che ci sono abilità individuali nella gestione dello stress che vanno considerate). Nelle indicazioni su come valutare lo stress, però, si suggerisce alle aziende una valutazione “preliminare” sulle condizioni oggettive di stress (eventi sentinella e fattori di contenuto e contesto), che può essere svolta attraverso la compilazione di “check list” validate come quella fornita dall’Ispesl. Pur riconoscendo l’assoluto valore di tale check list, quello che induce a riflettere è l’effetto sull’efficacia della semplificazione proposta alle aziende: se lo stress è il percepito individuale, e quindi non esistono condizioni oggettive oltre gli indici che derivano dagli eventi sentinella (se non quelle che possono scaturire, ad esempio, dal raccogliere e organizzare il percepito individuale attraverso gruppi omogenei di lavoratori che vivono le stesse condizioni aziendali, dunque potrebbero essere esposti allo stesso rischio, i turnisti per esempio o tutti i lavoratori che svolgono al medesima mansione o hanno lo stesso capo..), come può una check list o una valutazione fatta a tavolino dare indicazioni utili, significative e aderenti alla realtà per agire?
Perchè di questo si tratta in definitiva, del senso per cui si “devono fare” certe cose e del motivo per il quale un’azienda dovrebbe impegnarsi in una valutazione dello stress. Di questo “senso ultimo” chiarisce molto bene Angelo Manetti, medico del lavoro a Milano, che, intervistato da Maria Giovanna Faiella dal Corriere della Sera il 16 Gennaio (il Corriere ha pubblicato un ampio reportage sullo stress da lavoro) che gli domandava se in tempo di crisi, appunto, le aziende ne avrebbero tenuto davvero conto, rispondeva: “il modello indicato dalla circolare ministeriale, se applicato seriamente, servirà anche a capire e a migliorare il clima aziendale e la gestione del lavoro. Un ambiente più salubre è una risorsa non solo per il lavoratore, ma anche per l’azienda”.
Per applicare seriamente il modello, è necessario dunque coinvolgere e sentire i lavoratori, iniziando così un reale processo di miglioramento organizzativo a beneficio della salute dei lavoratori in primis, ma anche dell’azienda, che attraverso la riduzione dello stress riduce i costi legati all’assenteismo, al turnover, alla perdita di produttività e, probabilmente, favorendo un ambiente più salubre, favorisce anche migliori risultati economici. Le ricerche infatti ci dimostrano che aumentando la soddisfazione dei dipendenti di appena il 20% un’azienda può aumentare i propri risultati economici di circa il 42% e che per ogni dollaro speso in programmi orientati alla salute le aziende risparmiano 2,5 dollari per la riduzione dell’assenteismo e 2,3 dollari per la riduzione delle spese mediche.
Se vuoi saperne di più sulla metodologia di 6seconds per la valutazione dello stress:
STRESS AUDIT: metodologia sviluppata in allineamento all’Accordo quadro europeo del 2004 e attraverso un processo snello e strumenti integrati di raccolta dei dati oggettivi e soggettivi consente di valutare il rischio stress, identificare le misure correttive e preventive, aumentando la motivazione e il coinvolgimento delle persone.
Se vuoi conoscere i risultati delle aziende che lo hanno già fatto:
GLAXO SMITH KLINE: una best practice sullo stress audit