Stressati dal lavoro? Quante volte ci sarà capitato di chiedere a un amico, a un collega “come stai?” e ricevere risposte tipo: “sono stressato”, “il solito stress” o addirittura “mah, direi bene.. a parte lo stress”.
Ebbene, la frequenza con la quale siamo, ormai, abituati ad ascoltare queste risposte rivela la drammaticità di alcuni dati che dimostrano quanto lo stress sia diventato uno degli argomenti più discussi, per la significatività degli impatti che può determinare sulla salute dell’individuo (in termini di benessere fisico, mentale ed emotivo), dell’azienda (per le evidenti relazioni tra benessere individuale, motivazione, clima organizzativo e produttività) e, addirittura, dell’economia in generale (si pensi solo per fare un esempio ai costi della spesa sanitaria per la gestione delle malattie derivanti da stress).
L’Unione Europa stimava già nel 2002 un costo annuale sostenuto per lo stress pari a 20 miliardi di euro (fonte OSHA), affermando, inoltre, che 1 lavoratore europeo su 4 ne soffre e che lo stress rappresenta il secondo problema di salute legato all’attività lavorativa riferito più frequentemente.
In Italia, il decreto legislativo n°81 del 9 Aprile 2009, dichiara l’obbligo, per il datore di lavoro, della “valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato.”
Ma quali sono le cause dell’aumento vertiginoso dello stress e per quale motivo il legislatore italiano ha deciso di imporre alle aziende la valutazione del rischio stress lavoro-correlato?
STRESS AUDIT E’ una metodologia che consente di valutare il rischio stress all’interno dell’organizzazione, identificando le fonti di stress legate all’attività lavorativa, valutando il livello di esposizione dei diversi gruppi di lavoratori per definire le specifiche misure di prevenzione e protezione finalizzate a tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori, ridurre assenteismo, turnover e cali di produttività, migliorare il risultato economico aziendale.
PER SAPERNE DI PIU’: INDAGINE DI STRESS AUDIT |
Le ricerche confermano che lo stress sia stato definitivamente accettato come un fenomeno legato all’attività lavorativa, che colpisce negativamente un crescente numero di persone nel mondo. Le cause vanno ricercate nei profondi cambiamenti che hanno caratterizzato l’economia e il mercato del lavoro quali globalizzazione, aumento della competizione sul mercato, innovazioni continue, ristrutturazioni organizzative, nuovi e più complessi contenuti del lavoro, precarietà, aumento del carico e del ritmo di lavoro, scarso equilibrio tra lavoro e vita privata.
Tutto ciò ha avuto come effetto un generale aumento della pressione emotiva sui lavoratori, ai quali le aziende chiedono sempre più commitment, engagement e responsabilità nel farsi carico e raccogliere la sfida per il successo.
Ed è proprio la capacità di confrontarsi con un contesto sfidante e che cambia velocemente che può generare stress.
Lo stress si manifesta, infatti, quando le persone percepiscono uno squilibrio tra le richieste avanzate nei loro confronti e le risorse a loro disposizione per far fronte a tali richieste. Il punto cruciale di questo processo è dunque la percezione soggettiva e la conseguente valutazione della situazione in termini di “controllo” che l’individuo crede di poter esercitare su di essa. Sfidato da una richiesta esterna, di tipo fisico o psicosociale, l’organismo tenderà a rispondere impiegando le proprie risorse, sviluppate per esempio attraverso esperienze precedenti. Questo processo sarà influenzato dalla natura e dalla portata delle richieste, dalle caratteristiche della persona, dal supporto sociale a disposizione dell’individuo e dai vincoli posti dal contesto.
Se a livello individuale i principali sintomi dello stress sono riconducibili a malesseri emotivi (ansia, irritabilità, disturbi del sonno, abusi di alcool..), mentali (difficoltà di concentrazione, ridotta capacità decisionale..) e fisici (indebolimento del sistema immunitario, ulcere peptiche, ipertensione..), a livello aziendale lo stress incide su assenteismo, turnover, problemi disciplinari, riduzione della produttività, errori ed infortuni, aumento dei costi per spese d’indennizzo e mediche.
Influenzando il comportamento, lo stato d’animo e la salute delle persone, lo stress incide in misura massiccia sulla motivazione, e dunque si riflette sul risultato economico dell’organizzazione.
Risulta cruciale, a questo punto, comprendere quali dimensioni dell’attività lavorativa possono diventare possibili fonti di stress (stressors). La letteratura fa riferimento a due grandi tipologie di stressors: aspetti legati ai “contenuti del lavoro” e caratteristiche tipiche del “contesto di lavoro”. Al primo gruppo si riferiscono sostanzialmente gli stressors legati all’ambiente e agli strumenti di lavoro (esempio: tipo di mansione, carico di lavoro, orario di lavoro, ecc..); nel secondo gruppo intervengono aspetti legati a cultura organizzativa, struttura di ruoli, possibilità di carriera, livello di autonomia e partecipazione ai processi decisionali, percezione di controllo, bilanciamento lavoro e vita privata, relazioni interpersonali.
Da una recente ricerca condotta da Six Seconds sul tema stress lavoro correlato sono emersi risultati interessanti.
Per le donne il livello di stress causato dal lavoro è costantemente più alto rispetto agli uomini e questo vale per tutte le dimensioni indagate dalla ricerca, con picchi significativi sulle variabili “Disponibilità delle informazioni” e “Discriminazioni”.
Questo dato è in linea con alcune ricerche condotte in Europa e riportate dal Primo Rapporto sui lavori della Commissione “Salute delle Donne” (8 marzo 2008, Ministero della Salute) che mostrano come la maggior parte delle lavoratrici lamenti proprio lo stress come il primo problema lavorativo e pertanto i livelli di malattie correlate allo stress sono circa il doppio per le donne rispetto agli uomini.
Esaminando la condizione femminile nel mondo del lavoro, essa risulta ancora oggi caratterizzata da precarietà, lavori monotoni e ripetitivi, ineguaglianza retributiva, ridotto sviluppo di carriera, scarsa valutazione professionale, assenza di soddisfazione e di modulatori del carico mentale, sostegno sociale, ecc.. Fattori che possono determinare uno stress cronico e aumentare il rischio di numerose malattie e i dati in questo senso non sono confortanti: infatti, su circa 26.000 casi di malattie professionali denunciati all’INAIL ogni anno, oltre il 21% riguarda le donne, con una media di 6.000 denunce l’anno.
Un altro risultato emerso dalla ricerca di Six Seconds in linea con la struttura economico-sociale italiana riguarda i lavoratori “precari” e la loro relazione con l’organizzazione.
Nello specifico i dati ci dicono che i lavoratori a tempo determinato, o con contratti di collaborazione, percepiscono fortemente stressanti i temi della “Sicurezza e prevenzione infortuni” e “Tollerabilità dei compiti”.
Uno studio dell’Osha (l’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro) sui rischi derivanti dalle nuove forme di organizzazione del lavoro aveva già dimostrato che il lavoro precario fa male alla salute: i precari, infatti, hanno occupazioni più rischiose, condizioni di lavoro più scarse, e raramente ricevono una formazione adeguata su salute e sicurezza.
L’ac*****ularsi di contratti a breve termine aumenta poi il rischio di insicurezza e marginalizzazione, incrementando lo stress e la preoccupazione legati al lavoro, con rischi potenziali per la salute.
E i danni alla salute causati dal lavoro costano al paese ben 41,8 miliardi di euro, praticamente come una manovra finanziaria sui conti dello Stato. Il danno economico degli infortuni e delle malattie professionali costa quindi all’Italia una cifra superiore al 3 per cento del Pil. Questo è quanto risulta da un’analisi svolta dalla Consulenza statistico attuariale dell’Inail (pubblicata nel recente n.7 del mensile “Dati Inail”), sulla base degli eventi lesivi del 2003, per i quali sono stati indennizzati dall’Istituto circa 650mila casi di infortunio e 4.000 di malattia professionale.
Leggendo queste cifre, viene dunque da pensare che vista l’enormità del valore dei danni provocati, la prevenzione rappresenti non solo un dovere etico ma anche un affare e non un aggravio per le aziende; ed ecco che anche un decreto legislativo sul tema della sicurezza può arricchirsi di nuovi significati e più profonde implicazioni.
Il decreto legislativo 81, ponendo l’attenzione sulla necessità di considerare il rischio stress lavoro correlato al pari di qualsiasi altro rischio per la sicurezza delle persone, restituisce l’idea di un legislatore proiettato a porre le basi per il diffondersi di una vera e propria cultura della sicurezza, che possa coinvolgere in maniera ampia tutte le categorie sociali e diventi un elemento imprescindibile della gestione dell’impresa (Altalex, Relmi Rizzato 17.06.2009).
Con il decreto 81 il focus dell’attenzione si sposta, infatti, dalla mera adozione di comportamenti “tecnici” finalizzati a prevenire o a evitare infortuni, alla promozione di un nuovo modello di gestione del lavoro capace di creare un ambiente di lavoro sano e che utilizza la cultura della sicurezza per promuovere il benessere organizzativo e delle persone.
Sebbene la valutazione del grado di esposizione del lavoratore a stress psicosociale possa essere interpretata in prima istanza come il tentativo di mettere sotto la lente del microscopio il cuore dell’organizzazione e cominciare a chiedersi se essa stessa non sia generatrice di rischio, in realtà la valutazione del rischio stress può offrire all’azienda non solo la cartina di tornasole per comprendere i propri punti deboli ma anche l’opportunità di far emergere le sue potenzialità nel creare ricchezza attraverso la misurazione del livello di soddisfazione/insoddisfazione dei lavoratori.
L’occasione offerta al mondo economico è, dunque, importante: valutare il rischio stress significa innanzitutto avere l’opportunità di prevenire alcuni fenomeni che hanno un impatto economico pesante sulla gestione e redditività dell’azienda (assenteismo, turnover, conflittualità, produttività..) ma soprattutto ripensare il modello organizzativo del lavoro includendo e valorizzando una risorsa dal potenziale ancora non completamente espresso, ossia il lavoratore, inteso come individuo, con la sua personalità e caratteristiche peculiari, visto nella sua relazione con l’organizzazione. La valutazione del rischio stress, da mero obbligo di legge può diventare quindi l’opportunità per iniziare ad utilizzare strumenti di valutazione del capitale umano e organizzativo, ovvero di valorizzazione di quegli intangibile assets sensibili di valutazione economica ai fini del rating delle imprese e capaci di offrire la rappresentazione delle loro potenzialità di creare ricchezza.