Quali sono i rapporti tra organizzazione aziendale e responsabilità sociale e in che modo una buona organizzazione può influire sulle performance dell’azienda?
Per capire meglio questi rapporti, pubblichiamo un’intervista di Massimiliano Ghini per la rivista CR&M.
Quali sono i rapporti tra organizzazione aziendale e responsabilità sociale e in che modo una buona organizzazione può influire sulle performance dell’azienda?
Dagli studi condotti emerge che un buon clima organizzativo influisce molto sulle performance aziendali, partendo da quelle economico finanziare fino ad arrivare a quelle sul cliente o ad altri parametri interessanti per l’azienda come la retention dei talenti o la produttività. Il dato fondamentale è che un’azienda attenta all’ambiente lavorativo ottiene risultati migliori rispetto alle altre aziende, sia in termini economico finanziari sia in termini di impatto sulle persone e, quindi, di benessere delle persone. Questo è un trend studiato non solo a livello internazionale, ma anche italiano e ci sono dati che lo confermano in maniera eloquente. Tra l’altro, è interessante notare come le aziende che si attivano su questo versante stanno in realtà toccando un primo tema di responsabilità sociale.
Infatti, molto spesso quando si parla di responsabilità sociale si pensa a un “fare” al di fuori dell’azienda, ma io credo che il primo passo da compiere sia proprio quello di agire internamente al contesto aziendale ponendosi come obiettivo il benessere dei propri dipendenti.
Cosa intende per “benessere” dei dipendenti?
Quando si parla di questi concetti si parla principalmente di sistema premiante, ossia un insieme di iniziative che partono dal tema classico di compensation&benefits, un aspetto legato alle retribuzioni, fino ad arrivare ad altri temi quali: la formazione e, quindi, lo sviluppo che le persone percepiscono stando all’interno dell’azienda; lo status, il fatto di sentirsi realizzati, avere autonomia e responsabilizzazione all’interno della struttura; l’ambiente di lavoro, la leadership che i propri capi esercitano, nella capacità di poter innovare; il work-life balance.
Gli strumenti di analisi del clima organizzativo, che sono in stretta relazione con i risultati economico finanziari, vanno proprio a lavorare su questi aspetti, ossia si interrogano su cosa sia importante per una persona all’interno dell’organizzazione. Il fatto di lavorare in un ambiente collaborativo, di trovare motivazione nel ruolo e capire l’importanza del proprio ruolo nella strategia aziendale, ecc. sono tutti aspetti che fanno una grandissima differenza nel vissuto delle persone.
Il percepito delle persone, nella realtà, fa la differenza. Una persona che si sente sotto-utilizzata si comporterà di conseguenza. Allineare le percezioni del dipendente e dell’azienda è importante ed è fondamentale per l’azienda cogliere tali percezioni per migliorare e mantenere uno stretto legame tra ciò che viene fatto e ciò che viene percepito.
Quali strumenti vengono utilizzati per misurare le percezioni?
Ci sono questionari di metodologie di rilevazione del percepito: questionari e focus group sono i due principali strumenti. Ovviamente occorrono questionari attendibili. Misurare è importante ma è necessario farlo in maniera seria: capire innanzitutto cosa è importante misurare, farlo in maniera seria e statisticamente attendibile per poi interpretare i risultati alla luce delle dinamiche organizzative.
Cosa può fare un’azienda per migliorarsi?
Io credo che se un’azienda vuole iniziare a lavorare per far sì che le persone stiano meglio, sviluppino delle competenze e riescano a gestire meglio lo stress debba partire dalla realtà.
Per anni abbiamo preso in considerazione e privilegiato solo la parte razionale delle persone ma, oggi, grazie alle moderne neuroscienze, sappiamo che l’essere umano è dotato di una parte razionale e una emozionale in stretta relazione tra loro. Abbiamo dati che dimostrano come l’intelligenza emotiva spieghi oltre il 50% delle performance delle persone e come questa aiuti a gestire meglio lo stress. Lo stress non è l’evento in sé ma la percezione che io ho.
Sviluppare l’intelligenza emotiva e aiutare le persone a gestire il loro talento portando la loro capacità al massimo è possibile, con ricadute positive per la persona, il team di lavoro e l’azienda stessa.
Ci sono esempi pratici di aziende che in base all’adozione di questo tipo di strategia hanno migliorato le proprie performance?
Gli esempi sono tanti. Ormai molte aziende si stanno avvicinando a queste metodologie, sia le multinazionali, che per cultura sono abituate alle misurazioni, sia aziende di piccole dimensioni che, però, hanno alla loro guida imprenditori illuminati.
Svimservice, per esempio, è un’azienda di software con circa 200 dipendenti che ha ottenuto miglioramenti a livello di performance e attenzione al cliente abbastanza rilevanti. Stiamo però parlando di un’azienda alla cui guida c’è un imprenditore illuminato, da sempre attento a queste strategie e che quando si è trattato di introdurre un elemento di innovazione è partito in prima istanza dalle persone. Misurare il percepito e mantenere sotto controllo questo aspetto è stato il primo passo, il passaggio successivo è stato quello di capire come migliorare la situazione: avere i dati di misurazione è importante ma soprattutto in un’ottica di sviluppo.
La percentuale delle “morti bianche” in Italia è ancora molto elevata. Che cosa mi dice della questione della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro?
Proporrei, innanzitutto, di cambiare l’espressione “morti bianche” che mi sembra davvero troppo dolce per una piaga come questa. Soprattutto parlando di CSR mi sembra che questo sia davvero un punto fondamentale da affrontare. Tra l’altro, le condizioni in ambito lavorativo che riguardano la salute sono causa necessaria ma non sufficiente alla motivazione. Sono un prerequisito che le aziende devono mettere in pratica se vogliono motivare le persone. Le politiche di motivazione delle persone si devono basare proprio su alcuni punti fermi, e uno di questi è la sicurezza sul lavoro. Non è pensabile lavorare sulla motivazione se la persona non è sicura. Il fatto di avere almeno un impatto non negativo sulla salute dei lavoratori deve essere considerato come un prerequisito. Se mi interessano le persone e le voglio mettere al centro delle strategie aziendali devo essere conseguente e quindi preoccuparmi del tema della sicurezza.
Oltre al problema della sicurezza, intesa a livello fisico, un altro problema purtroppo ancora sottovalutato è quello delle somatizzazioni da stress. I dati Inail degli ultimi anni rivelano che il denunciato delle malattie legate a stress sono in aumento in maniera esponenziale. Questo non significa che si lavora peggio di 20 anni fa, ma che sono cambiate determinate modalità: capacità di stare sul mercato, ogni capo deve gestire più collaboratori rispetto a una volta, difficoltà di reperire le informazioni. Tutto questo genera livelli di stress molto elevati che vanno a impattare con quella che viene definita “somatizzazione”, cioè un problema che da livello mentale si trasforma in fisico. Lo stress prolungato nel tempo, non rilevato, porta a malattie vere che incidono sulla persona con un aumento del tasso di assenteismo e, quindi, dei costi per la persona, per l’azienda e per il sistema sanitario nazionale.
Questo è un tema che purtroppo non ha ancora lo spazio che dovrebbe avere.
Massimiliano Ghini