Cosa significa sentire un’emozione, e perché succede? Oggi, la maggior parte delle persone vede le emozioni come “buone” o “cattive” – il che ci lascia in un costante stato di lotta interiore contro i nostri stessi sentimenti. C’è un’altra opzione? E come siamo arrivati a questo punto?
Immaginate un figlio e i genitori “tipo”; prendiamo un bambino, di circa otto anni. I suoi genitori sono oberati di cose da fare, è stata una lunga giornata e tutti sono al limite. Il bambino sta giocando per conto suo, ma succede qualcosa – quasi irrilevante per quello che è, forse la sua Wii smette di funzionare e, ovviamente, si arrabbia – è stata una lunga giornata anche per lui. Supponiamo che sia molto turbato, irragionevolmente turbato, e si comporti in questo modo: sbatte cose, prende a calci ciò che ha davanti, urla, e travolto da questo impeto di sentimenti (e spaventato dalla reazione dei genitori) si mette a piangere.
Qual è la reazione tipica del genitore?
Non dare importanza alle emozioni
Forse fare una domanda, forse confortare, ma più probabilmente esprimere un rifiuto: “Smettila di piangere, tesoro, non è niente di che”. “Non dovresti arrabbiarti così tanto”. O anche il classico dei papà: “Piantala o ti dò davvero un motivo per cui piangere”.
Cos’ha appena imparato il bambino rispetto a queste emozioni?
Cos’hai imparato tu rispetto a queste emozioni – emozioni come rabbia, paura, dolore, o gelosia?
In tutto il mondo abbiamo sentito quasi sempre la stessa cosa: Quelle sono emozioni “negative”. Anche “cattive”. Le troviamo scomode, travolgenti, spaventose, fuori controllo (e ora abbiamo “cattive emozioni” rispetto alle “cattive emozioni”).
Quindi, qual è la risposta naturale, ragionevole, a qualcosa di brutto? Controllarlo. Respingerlo. Schiacciarlo. O, come minimo, nasconderlo. Forse dopo un po’ di terapia, “gestirlo”.
Che ne dite di abbracciarlo?
Sempre più spesso siamo felici di farlo con emozioni “positive” – la moda attuale è che se non inondiamo di gioia le nostre famiglie, le scuole e gli uffici, allora forse siamo solo cattivi (perché la “felicità” è vista come ideale). Ma anche questo atteggiamento è irto di giudizi; stiamo limitando il potere motivante dei sentimenti a pochi eletti. Stiamo decidendo che alcune emozioni sono buone… il che richiede che altre siano cattive.
Negli ultimi 14 anni di insegnamento delle emozioni come motore di un cambiamento positivo abbiamo concluso che questa diffamazione delle nostre emozioni è il più grande ostacolo all’intelligenza emotiva.
Il Modello delle Emozioni di Plutchik
Vorremmo quindi proporre un modo diverso di pensare alle emozioni. Per prima cosa, esploriamo il modello intrigante dello scienziato Robert Plutchik.
Plutchik ha studiato il modo in cui gli animali vivono, esprimono e rispondono alle emozioni. Ha osservato, seguendo la tradizione di Darwin, che c’è uno scopo adattivo all’emozione. I sentimenti aiutano gli animali a sopravvivere avvisandoli delle minacce e delle opportunità e fornendo un meccanismo di comunicazione universale e trasversale tra le specie. Se avete mai sentito il ringhio arrabbiato di un lupo, o siete stati incantati dal sorriso giocoso di un cucciolo, lo capirete visceralmente.
Plutchik ha proposto un modello di otto emozioni di base che hanno ciascuna una risposta fisiologica. Ha spiegato che ognuna di queste potrebbe essere più o meno intensa, e che possono combinarsi tra loro. Sono ritratte come opposte perché provocano risposte fisiologiche opposte:
Le Emozioni sono Segnali
Ci sono molti modi diversi di definire le emozioni, ma i ricercatori di questa tradizione “adattiva” tendono a vedere che queste risposte fisiologiche di base servono ciascuna ad un diverso bisogno di sopravvivenza, e (a) focalizzano la nostra attenzione su una minaccia o un’opportunità, e (b) motivano una risposta.
La rabbia, per esempio, è un segnale che il nostro percorso è bloccato. Vogliamo essere promossi, percepiamo che qualcuno sta interferendo, siamo arrabbiati con la persona. La rabbia serve a focalizzare la nostra attenzione sulla minaccia e motiva una risposta di lotta o di spinta per superare l’ostacolo.
Ecco un grafico delle otto emozioni di base e una probabile descrizione del focus e della motivazione fornita:
Possiamo usare questa tabella per “decodificare” le nostre esperienze emotive. Ci mostra che le emozioni servono a uno scopo, che c’è valore in tutti i sentimenti. Ma è comunque facile dire che alcune sono “negative” perché legate a problemi o minacce.
Possiamo provare a rimuovere il giudizio e definire alcuni di questi “piacevoli” o “sgradevoli”, ma non funziona: a volte, quando pensi che tuo figlio ti stia sfidando, è molto piacevole esprimere la tua rabbia. Quando una persona cara viene a mancare, ci sembra giusto (non proprio piacevole) sentirsi tristi.
Un altro approccio è quello di caratterizzarli come “in contrazione” o “in espansione”. I sentimenti legati ai problemi restringono la nostra attenzione e ci portano a concentrarci sui problemi, a rallentarci, a limitare i nostri rischi. All’altro estremo, alcuni sentimenti ci stimolano a guardare verso l’esterno, a diventare più aperti e a correre rischi. Di tutte le caratterizzazioni “polari” questa è la nostra preferita perché è veramente non giudicante. Tuttavia, vorremmo fare un passo avanti.
Nel Buddismo, e in molte altre fedi, c’è una nozione di “non dualità”. Piuttosto che buoni e cattivi come opposti, possono essere visti come un tutt’uno, un insieme con lati equilibrati. Questo è rappresentato visivamente nel simbolo yin-yang. In quel grafico, l’universo (un cerchio) è metà e metà… ma non effettivamente diviso. Il bianco e il nero sono intrecciati – sono un unico cerchio con due aspetti.
Potremmo avere una visione non dualistica delle emozioni?
Piuttosto che caratterizzare i sentimenti come opposti (buono / cattivo, piacevole / sgradevole, contrarre / espandere), c’è un modo per vederli come un insieme collegato? Spesso nel nostro lavoro le persone descrivono le emozioni su un continuum – uno spettro da un estremo all’altro, prendendo un’emozione ed il suo opposto come le estremità della linea dei numeri. Questo ha un certo merito perché stiamo iniziando a collegarle come parte di un tutto, ma è ancora dualistico: sulla linea dei numeri ci sono numeri interi positivi e negativi.
Torniamo alla definizione di rabbia: ti senti arrabbiato quando vuoi andare da qualche parte, ma la tua strada è bloccata.
Quindi la rabbia nasce da quel senso di ostacolo. Come potremmo chiamare questa sensazione di “voler andare da qualche parte”? Forse l’anticipazione? O forse la dedizione è una versione più potente di quella parola?
In questo caso, potremmo dire che in realtà non esiste una cosa come la rabbia senza dedizione: Se non vuoi andare da nessuna parte, non ti arrabbierai! In altre parole, non sono due cose separate: La rabbia esiste solo in contrasto, in equilibrio, nel contesto della dedizione.
E la paura? La paura è un messaggio di potenziale minaccia – un segnale che qualcosa a cui tieni è a rischio… quindi se non ti importa, non sentirai paura. In altre parole, la paura e l’amore sono anche una non-dualità.
Il dolore sorge quando si perde qualcuno o qualcosa che conta: una relazione significativa, una persona cara. Ma quando sentiamo quel senso di significato, lo sperimentiamo come gioia.
Infine, il disgusto è un segnale di violazione. Significa che le regole sono infrante, gli accordi a rischio, i sistemi e le strutture di relazione sono in pericolo. Eppure, se non provassimo fiducia in quelle stesse cose, se non segnalassero un senso di sicurezza e di equilibrio, non ci importerebbe se fossero in pericolo.
Sono davvero opposte?
A questo punto, siamo abbastanza soddisfatti dell’ipotesi di questi costrutti – non come opposti, ma come un tutt’uno; Il buio e la luce della candela, ma c’è ancora qualcosa che manca.
Abbiamo pensato a questo problema per diversi anni, e di recente abbiamo sentito un’idea che ci piacerebbe prendere in considerazione. Abbiamo avuto il privilegio di far parte di un panel con Dan Shapiro, professore della Harvard Law & Medical Schools, e co-autore di Beyond Reason: Using Emotions as You Negotiate; Il tema della conferenza era l’intelligenza emotiva e spirituale nella negoziazione.
Nel descrivere la sfida di identificare prima e affrontare poi concretamente le emozioni nella complessa danza della negoziazione, il breve riassunto di Dan è stato: “È davvero difficile!” Quindi la sua proposta è di notare l’emozione, ma di andare a una domanda più profonda: Qual è il bisogno di base che guida l’emozione? Dato che ci sono un numero relativamente piccolo di bisogni di base, forse cinque, potrebbe essere più facile gestire questo insieme. Se riusciamo a soddisfare questi cinque bisogni di base, è molto più probabile che sorga una vera trattativa.
Emozioni: È Davvero Difficile!
In genere, quando si parla di esigenze di base, la premessa è che tutta una serie di emozioni emergono in risposta a un bisogno che viene soddisfatto o non soddisfatto. Nella Comunicazione Nonviolenta, Marshall Rosenberg e i suoi colleghi hanno svolto un lavoro meraviglioso che illustra queste dinamiche. Ascoltando Shapiro usare i bisogni di base come un modo per spiegare le dinamiche emotive della negoziazione, ci siamo chiesti se potevamo guardare le “non-dualità emotive” attraverso questa lente:
Rabbia-Dedizione è legata alla voglia di muoversi, un bisogno di raggiungere qualcosa.È abbastanza facile vedere che questa coppia di emozioni nasce in concomitanza con un bisogno di base che si potrebbe chiamare realizzazione.
Quando proviamo Disgusto-Fiducia, significa che il contratto sociale che produce ordine è vulnerabile (questo contratto può essere dentro di noi, e quando violiamo i nostri stessi precetti ci sentiamo disgustati da noi stessi). Mentre la paura segnala anche il rischio, di solito non è legata al contratto ma all’implicazione umana. Ed è la fiducia che segnala la sicurezza; quindi forse la specifica sicurezza della fiducia si bilancia con uno specifico pericolo di disgusto, nel qual caso questo costrutto è legato al bisogno fondamentale di sicurezza.
Mentre la dinamica della Paura-Amore può far sorgere una connessione con un oggetto inanimato (la paura di perdere una casa), sospettiamo che sia più profondamente radicata nel desiderio di nutrire gli altri, di essere in equilibrio o in armonia. Essere connessi. Questo potrebbe essere chiamato il bisogno di appartenenza.
Anche in questo caso, la dinamica Dolore-Gioia sembra sorgere in una serie di situazioni, ma abbiamo pensato alla biologia della gioia. La gioia è prodotta da oppiacei che vengono assorbiti in molte parti del cervello, ma soprattutto nella corteccia frontale, la sede della valutazione. Questo è un accoppiamento intrigante perché implica che in qualche modo, quando capiamo veramente, otteniamo la ricompensa della beatitudine interiore. Potremmo chiamare questa ricerca di significato il bisogno di scopo.
Tre Messaggi Chiave Sulle Emozioni
È probabile che nella nostra vita quotidiana ci siano più bisogni di base di questi, e certamente molti, molti “desideri”. I bisogni e i desideri sono legati a una vasta gamma di sentimenti. Ma forse se riusciamo a distillare tutto questo fino a un livello semplice, la complessità dei nostri sentimenti diventa più facile da capire – e da gestire. Anche se non siamo sicuri che queste etichette siano del tutto adeguate, ci sono tre messaggi chiave che speriamo vi porterete a casa:
1. Le emozioni sono segnali che svolgono una funzione. Non devono essere “ciecamente obbedite”, ma non devono essere ignorate.
2. C’è un’innata connessione tra bisogni ed emozioni. Nel cercare di dare un senso ai propri o altrui sentimenti, considerate che potrebbero essere segnali di un bisogno fondamentale.
3. Anche se i sentimenti possono essere scomodi e travolgenti, resistete all’impulso di giudicarli – e di giudicare voi stessi e gli altri per averli. Considerate invece che ogni sentimento è parte di una storia più grande, una storia di ciò che è veramente più importante.