I disturbi depressivi possono insorgere anche in età molto precoci (infanzia e adolescenza), spesso con sintomi piuttosto sfumati, e la loro gravità è del tutto sovrapponibile alle forme dell’adulto. I disturbi depressivi dell’età giovanile necessitano pertanto di una corretta diagnosi e di un trattamento multidisciplinare e responsabile.

In particolare negli ultimi anni si è fatta strada l’abitudine, soprattutto nei paesi americani, di utilizzare in prima battuta farmaci antidepressivi, spesso assegnati in monoterapia, soprattutto della classe degli antidepressivi inibitori del reuptake della serotonina (i cosiddetti SSRI). I risultati di queste terapie a tappeto, divenute quasi routinarie, ha iniziato presto a fare discutere, sia per l’efficacia a lungo termine sui sintomi, sia per il razionale di impiego in generale sull’età evolutiva, sia soprattutto per alcuni effetti collaterali di grave entità. In particolare sono stati segnalati casi di suicidio o tentato suicidio successivi all’inizio della terapia farmacologia con SSRI, e più generali forme di aumento dell’aggressività auto ed eterodiretta.

Un recente articolo descrive il trend di vendita di antidepressivi ai minori di 18 anni negli USA, osservando che è aumentato del 77% dal 2000 al 2003, per poi calare improvvisamente dopo le prime segnalazioni di effetti avversi del 23% circa. L’FDA, principale organo nazionale di controllo dei farmaci americano, ha infatti inserito nel foglietto illustrativo degli antidepressivi in generale l’avvertenza in cui chiede cautela nella somministrazione a soggetti di età inferiore ai 18 anni. Tale avvertenza può ovviamente giustificare la riduzione della prescrizione dei farmaci, ma rischia di penalizzare l’utilizzo del farmaco nei casi di bambini e adolescenti con depressioni gravi in cui l’approccio farmacologico sia effettivamente necessario.

È opportuno ricordare che il suicidio in età giovanile è piuttosto diffuso, al punto che tra i 10 ed i 24 anni rappresenta la terza causa di morte, e bisogna considerare che l’esito di una depressione non curata o trascurata è spesso il gesto autolesivo, dal tentato suicidio al suicidio vero e proprio (vedi anche ansia e suicidio). Questi dati dovrebbero indurre tutti coloro che si occupano di salute e di età evolutiva e adolescenza a riflettere in primo luogo sui segni della depressione, ed in secondo luogo sul trattamento più adeguato per ogni singolo caso, senza incorrere in generalizzazioni e senza aderire in modo acritico ai trend proposti dal mercato.

È ormai noto che la terapia della depressione infantile e giovanile si dovrebbe basare su una combinazione di psicoterapia e farmacoterapia, anche se è necessario muoversi sul fronte della prevenzione e della diagnosi precoce, dal momento che possono passare molti mesi dai primi segni di depressione alla richiesta di aiuto del paziente o dei familiari. A questo proposito negli USA si sta lavorando molto sulla prevenzione del suicidio adolescenziale, attraverso l’attivazione di servizi territoriali di promozione della salute, in particolare cercando di aumentare nei ragazzi la consapevolezza degli stati emotivi interni e di rendere più facile per i ragazzi l’ammissione del problema, riducendo sentimenti come vergogna e colpa che spesso mantengono i sintomi nascosti peggiorando la situazione.

IL RUOLO DELLA SCUOLA. Come dimostrato da recenti ricerche i disturbi depressivi si presentano soprattutto nel periodo adolescenziale (1). Questo è un periodo particolarmente difficile, soprattutto per le ragazze (2-4). Scarse capacità di contatto interpersonale associate a processi di pensiero negativi, possono creare grosse difficoltà all’adolescente che cerca di modificare le sue relazioni con i coetanei e soprattutto con i familiari: a questa età il desiderio di autonomia va di pari passo con l’esigenza di sentirsi ancora protetti, l’esigenza di sovvertire ogni ordine dato si accompagna alla necessità di avere comunque dei punti di riferimento. Inoltre l’adolescente deve confrontarsi con il suo desiderio di emergere in un ambiente sociale e scolastico molto competitivo. Diverse possono essere le cause della depressione in bambini e adolescenti:

  • Eventi particolarmente stressanti (esposizione a violenze nell’ambiente sociale o familiare, difficoltà economiche, abusi nell’infanzia, lutti, separazione o divorzio dei propri genitori) a questa età possono influire sull’insorgenza di sintomi depressivi, sul rendimento scolastico e sull’assunzione di comportamenti a rischio di vario genere.
  • Caratteristiche cognitive individuali che possono influire sulla percezione degli eventi negativi.
  • Depressione di uno o entrambi i genitori. I figli di un genitore depresso hanno una probabilità quattro volte superiore alla norma di soffrire di disturbi dell’affettività.
  • Scarsa autostima. La stima di sé si forma proprio nell’età adolescenziale e nasce dal giudizio su di sé che il bambino percepisce da parte dei genitori, coetanei e insegnanti.
  • Scarse abilità sociali. La scuola rappresenta una palestra fondamentale per l’acquisizione di competenze sociali ed emotive che possono risultare protettive nei confronti della psicopatologia e soprattutto dei disturbi depressivi in bambini e adolescenti.

Ma, contemporaneamente può anche essere il luogo il cui il bambino e il ragazzo sperimenta degli eventi negativi che possono influire sulla sua autostima e sul concetto di sé. Bambini di 5-9 anni che percepiscono una disistima da parte dell’insegnante e che non si sentono accettati dai propri compagni hanno elevate probabilità di presentate disturbi depressivi in adolescenza (5-7). E’ molto probabile che bambini che a 8 anni sono vittime di bullismo o di altre forme di vittimizzazione a 9 anni sviluppino sintomi depressivi, soprattutto se femmine (8). Programmi scolastici volti a promuovere le competenze emotive e sociali possono prevenire il rischio di depressione in bambini e adolescenti. Già negli anni 70-80 numerosi programmi di tal genere sono stati sperimentati negli Stati Uniti e in Inghilterra (9). Snow e coll. nel 1987 (10) hanno rilevato risultati postivi a seguito di un programma in cui i ragazzi erano formati nella gestione dello stress fornendo loro le competenze per utilizzare la rete sociale nei momenti difficili, nella presa di decisioni, nella comprensione delle dinamiche di gruppo. Contemporaneamente erano state potenziate le competenze educative dei genitori. Shelking e coll, sempre nel 1987 (11) hanno insegnato a bambini e docenti le tecniche del problem solving e promosso una maggiore partecipazione dei genitori alla vita scolastica.

Interessante è il programma effettuato da Solomon e coll. nel 1986 (12), articolato in 5 settori:

  1. Attività di aiuto: i bambini vengono incoraggiati a sostenere i compagni sia nei momenti di difficoltà che nei lavori scolastici.
  2. Chiarificazione dei valori prosociali: i docenti spiegano quali siano i fondamentali valori prosociali e ne discutono con gli alunni. Rinforzano, non appena si verificano, i comportamenti spontanei adeguati.
  3. Promozione della comprensione sociale: vengono lette storie, a cui seguono discussioni di gruppo, in cui si esplorano le motivazioni, i sentimenti e i bisogni dei vari personaggi. Per sviluppare sentimenti di solidarietà e promuovere il riconoscimento del valore della diversità, vengono usate storie i cui protagonisti sono di cultura, età, sesso diversi. Si attuano discussioni sui vari eventi che si svolgono in classe.
  4. Sviluppo della disciplina: attraverso uno stile educativo democratico, gli insegnanti stimolano lo sviluppo di un’autodisciplina fondata sull’individuazione collettiva di regole di comportamento e sull’impegno comune nel rispetto delle stesse.
  5. Apprendimento cooperativo: si adotta il lavoro di gruppo sia per le attività scolastiche che sociali. Gli insegnanti fanno riflettere i ragazzi sulla necessità dell’interdipendenza, sull’opportunità di capire e considerare sia il proprio comportamento che quello degli altri, sulle funzioni da raggiungere all’interno del gruppo per un buon raggiungimento dell’obiettivo.

I ragazzi che avevano partecipato al programma si sono rivelati più autonomi, più capaci di prendere decisioni, di comprendere i problemi interpersonali comuni e di risolverli.

Più di recente altri programmi, con obiettivi più specifici, hanno dato risultati positivi. In Scandinavia è stato attuato, nel 1994, un programma finalizzato alla riduzione del bullismo nella scuola (13). Negli Stati Uniti due programmi, nel 1992 e 1988 hanno avuto come obiettivo la prevenzione dei comportamenti antisociali (14) e l’aiuto ai bambini socialmente svantaggiati (15).

Dal momento che la possibilità di prevenire l’insorgenza di tale disagio in un’età così delicata può avere influenza sul benessere dell’individuo nell’intero corso della vita è fondamentale che la scuola si interroghi sul suo ruolo in tal senso.

“Poiché a moltissimi giovani il contesto sociale non offre più un punto d’appoggio sicuro nella vita, le scuole restano il solo istituto al quale la comunità può rivolgersi per correggere le carenze di competenza emozionale e sociale dei ragazzi. Questo non significa che esse da sole possano sostituire istituzioni sociali prossime al collasso. Ma poiché quasi tutti i bambini vanno a scuola, almeno all’inizio, la scuola è un luogo che permette di raggiungere ognuno di essi e di fornirgli lezioni fondamentali per la vita che, altrimenti non potrebbe mai ricevere” (16).

Bibliografia: (1) ROSE G.: The strategy of preventive medicine. Oxford: Oxford University Press, 1995. (2) GE X, LORENZ FO, CONGER RD, ELDER GH: Traiectory of stressful life events and depressive symptoms during adolescence. Dev Psychol, 1994, 30: 467-483. (3) HANKIN BL, ABRAMSON LY.: Development of gender differences in depression: description and possible explanation. Ann Med, 1999, 31: 371-379. (4) GRANT KE, COMPAS B: Stress and anxious depressed symptoms among adolescents: searching for mechanism of risk. J Consult Clin Psych, 1995, 63 : 1015-1021. (5) REINHERZ HZ, GIACONIA RM, HAUF AM e coll.: Maior depression in the transition ti adulthood: risks and impairments. J Abnormal Psychol 1999; 108: 500-510. (6) STEELE RG, ARMISTEAD L, FOREHAND R: Concurrent and longitudinal correlates of depressive symptoms among low-income, urban, African, American children. Family Health Project Research Group. J Clin Child Psychol 2000, 29: 76-85. (7) JAFFE SR, MOFFIT TE, CASPI A e coll.: Differences in early childhood risk factors for juvenile-onset and adult-onset depression. Arch Gen Psychiatry 2002: 59, 215-222. (8) BOND L, CARLIN JB, THOMAS L e coll.: Does bulling cause emotional problems? A prospective study of young teenagers. BMJ 2001; 323: 480-484. (9) FRANCESCATO D, LEONE L, TRAVERSI M: Oltre la psicoterapia. Percorsi innovativi di psicologia di comunità. 1995. NIS, Roma. (10) SNOW B, GRADY K, TEBES F: Adolescent decision making program: report of longitudinal school-based preventive program, in “The community psychologist”, 1987, 20, 2:13-4. (11) SHELKING J, COOPER M, TABLEMAN D, GROVES F: Quality of school life for elementary school, in “The community psychologist”, 1987, 15:3-4. (12) SOLOMON D, WATSON M e coll.: Promoting prosocial behavior in schools; an interior report on a five year longitudinal intervention program. Paper presented in Annual Meeting of The American Educational Research, San Francisco. (13) OLWEUS D: Bullyng at school: basic facts and effects of a school based intervention program. J Child Psychol Psychiatry, 1994; 35; 1171-1190. (14). HAWKINS JD, CATALANO RF, MORRISON DM e coll.: The Seattle Social Development Project: effect of the first four years on protective and problem behaviours. In McCORD J., TREMBLAY RE, eds: Preventing antisocial behavior: intervention from birth throught adolescence. New York: Guilford Press, 1992. (15) COMER JP: Educating poor minority children. Sci Am, 1988, 259: 42-48. (16) GOLEMAN D: Emotional Intelligenze, 1995. trad it. Intelligenza emotiva, 1999, Bur Saggi, p. 332.