Viviamo innegabilmente in tempi di cambiamento febbrile che richiedono grande attenzione alla performance e ai risultati, ma più del 70% dei cambiamenti aziendali fallisce: vi siete chiesti perché? Tanti manager sanno che devono cambiare per non restare indietro nel mondo globalizzato, ma non hanno idea di come farlo. Così subentra un senso di i

mpotenza e frustrazione. Il lavoro del leader deve essere quello di rendere possibile il cambiamento; per fare questo, l’attenzione agli aspetti emotivo-relazionali diventa una priorità visti i dati sui driver della performance che oggi abbiamo a disposizione e le ultime ricerche che ci arrivano dal campo delle neuroscienze. Le ragioni principali dei fallimenti sono da ricercare soprattutto nella modalità con cui i processi legati alle persone vengono gestiti o meglio non gestiti.Non è una questione di dimensioni d’azienda ma di cultura dell’imprenditore o del manager che si trova di fronte alla necessità del cambiamento. Oggi abbiamo a disposizione tutte le conoscenze e gli strumenti

per gestire situazioni di cambiamento in maniera efficace (quello che molte volte manca purtroppo è la consapevolezza). Vediamo come. Se è vero che la leadership è la capacità di saper guidare le persone, allora possiamo affermare con una certa serenità che questa competenza dovrebbe poter essere il fondamentale supporto che un’azienda può attendersi dai propri manager durante i momenti di particolare criticità. Ad esempio nei processi di change, che mai come oggi richiedono di essere gestiti con sapienza intellettuale non solo in merito ai processi ma anche alle persone. Non mi stancherò mai di vedere quanto diverse possano essere le reazioni dei leader nei confronti del cambiamento, infinite sicuramente, ma tutte con un minimo comune denominatore: ognuno tende a focalizzarsi su ciò che lo caratterizza, chi sul processo, chi sulla visione d’insieme, chi ancora sulle “politiche di gestione” e così via. Approcci diversi che però rischiano di portare all’insuccesso se prima non si è fatto un onesto lavoro di consapevolezza su di sé e sui propri punti di forza e debolezza. Non sto divagando, lasciatemi l’opportunità di chiedervi: sapete come funziona il nostro cervello? In che modo i nostri due emisferi celebrali dialogano tra di loro per aiutarci a prendere decisioni sostenibili? Se sapete questo comprenderete sicuramente che in momenti di difficoltà tendiamo a replicare i nostri meccanismi di azione siano essi funzionali o non funzionali e che questo ci porta ad essere selettivi e procedurali nei comportamenti, incorrendo nel rischio di non saper vedere alternative, perdersi informazioni e soprattutto diminuire la nostra efficacia personale. Ecco perché ritengo sia fondamentale che i leader guardino con coraggio al cambiamento attraverso lenti diverse da quelle tradizionali, ponendo a se stessi e ai propri collaboratori domande tanto semplici quanto efficaci. Ad esempio: cosa sto provando, che alternative abbiamo, che reazioni possono scatenare le mie scelte, su quali strumenti posso fare affidamento ma, soprattutto, cosa è importante fare ovvero da quali valori vogliamo farci guidare!


Come cambiare?


Change map

Ogni processo di cambiamento genera emozioni che se ben veicolate possono contribuire al raggiungimento degli obiettivi di change

Ogni volta che utilizziamo la parola cambiamento si generano emozioni. Il rischio è che alla prima reazione di paura segua una catena emotiva che porti al fallimento del progetto. Gli attori del cambiamento devono essere quindi consapevoli della necessità di farsi carico della gestione delle dinamiche emotive che il cambiamento scatena nelle persone. Ogni cambiamento prevede quindi almeno due livelli di intervento: quello sulle persone e quello sull’organizzazione. Non possiamo cambiare le organizzazioni se non capiamo come cambiano le persone. Molto spesso queste due dimensioni possono sovrapporsi, ma − per rendere più fluida la comprensione dei modelli di change che le caratterizzano − propongo di analizzarle in modo separato attraverso due casi aziendali.


Prima le persone…

Partiamo dal primo caso ovvero quello del cambiamento personale: come possiamo facilitarlo? Come possiamo trasformare la paura del cambiamento in commitment? Il primo elemento è che non possiamo imporre alle persone il cambiamento. Possiamo creare curiosità e motivazione, ma alla fine è la persona interessata che decide se provarci o meno. Il modo migliore per attivare il cambiamento è coinvolgere le persone così da renderle protagoniste del processo. Più la persona sarà messa nelle condizioni di comprendere, esplorare, conoscere le proprie potenzialità più l’azienda sarà in grado di individuare talenti, definire strategie di sviluppo coerenti, costruire piani di carriera valorizzanti. Secondo elemento è la pratica e l’allenamento attraverso i quali l’azienda può sostenere le persone creando le condizioni necessarie per favorirne l’acquisizione dei driver manageriali. Infine, l’analisi ci consente di fare un check assieme alle persone per valutare cosa è successo e capire come migliorare ulteriormente per rendere il cambiamento realmente sostenibile.

Il caso Rosetti Marino

Rosetti Marino Spa è un’azienda a capo di un gruppo integrato di società in Italia e all’estero, fornitrici di servizi nel settore offshore e navale per il mercato Oil & Gas. In un’ottica di gestione evoluta delle competenze interne l’Hr Department ha deciso di avviare un progetto di Check Up Manageriale in grado di abbracciare a 360° lo sviluppo professionale delle figure manageriali.

La metodologia utilizzata. Per raggiungere questi obiettivi si è utilizzata la metodologia PEOPLE, strumento nato con l’intento di innovare i tradizionali sistemi di valutazione grazie ad un approccio centrato sulla persona.

Obiettivo. Sviluppare un vero e proprio piano di change management con il duplice intento di: analizzare e misurare scientificamente le competenze individuali; unire alla valutazione la crescita professionale, investire in maniera differenziata sulle diverse esigenze delle persone, costruire un piano di sviluppo coerente con i talenti e le aspettative delle persone coinvolte.

Il seme di una nuova cultura organizzativa

Ciro Gallo, Hr Development & Training manager,  ha seguito tutte le fasi del progetto.

Quali sono state le difficoltà principali che vi siete trovati ad affrontare?

La fase più delicata è stata quella progettuale, ci siamo infatti chiesti in che modo creare il giusto commitment per abbattere le naturali resistenze legate al progetto e creare quindi coinvolgimento, partendo dalla consapevolezza che avevamo di fronte persone poco abituate per formazione ed esperienza a questo tipo di temi.

Che strategia comunicativa avete scelto di seguire per creare commitment?

Abbiamo scelto la strada della chiarezza e del dialogo coinvolgendo sin dall’inizio tutti gli attori del processo dai partecipanti ai loro responsabili.

Quali risultati avete ottenuto e cosa prevedete per il futuro?

Osservando a distanza di ormai sei mesi dal lancio del primo gruppo le reazioni delle persone posso dirmi molto soddisfatto. Sento che si è innestato il seme di una nuova cultura organizzativa realmente centrata sull’individuo. Ad oggi quello che vediamo è la possibilità di costruire un nuovo approccio alle tematiche manageriali in grado di fornire un efficace servizio non solo all’azienda ma anche alle persone, aiutandole a cogliere con maggiore chiarezza i loro obiettivi e le loro aspettative.

Gli Step metodologici. Dopo aver condiviso nella fase di progettazione con la funzione Hr e la dirigenza le linee guida del change process si e partiti con il primo step.

Motivare: I partecipanti sono stati coinvolti sin dall’inizio nel percorso attraverso alcune attività di pre-work con lo scopo di stimolare la riflessione sul tema dello sviluppo e sull’importanza di partire da se stessi. Al termine dei vari step valutativi e nel corso di un incontro individuale ad ogni partecipante è stato restituito un feedback report personale con tutti i risultati  delle valutazioni. Grazie alla condivisione dei risultati con un coach le persone hanno potuto acquisire consapevolezza e contribuire a disegnare il proprio piano di sviluppo professionale.

Attivare: Alla fase di check up vera e propria è seguito un percorso di sviluppo personalizzato che, attraverso un mix di aula e coaching, ha accompagnato le persone nel proprio miglioramento.

Riflettere: Il progetto di Check Up Manageriale, dopo la fase pilota, è stato esteso a tutta l’azienda. Inoltre, visti gli impatti positivi ottenuti, si è deciso di estendere questo tipo di osservazione anche nella fase di selezione così da ricercare in partenza i talenti rispondenti alle reali esigenze dell’azienda.

I risultati ottenuti. Questo progetto può essere considerato a tutti gli effetti una best practice di efficienza e lungimiranza manageriale. Spesso, infatti, la formazione e la consulenza intervengono quando la situazione è già critica e il management investe per sanare in extremis quello che si preparava già da tempo alla rottura. In questo caso, invece, l’obiettivo che muove il progetto è legato alla visione di sviluppo che si vuole imprimere all’organizzazione attraverso i processi (dalla selezione alla formazione) per creare una cultura d’impresa rivolta al cambiamento. Pensate a quanto risparmierebbe la vostra azienda se selezionasse già in partenza le persone attraverso l’individuazione, nei candidati, delle competenze più strategiche per la sua realtà. Pensate a quanto risparmierebbe se fossero le persone stesse a costruire il proprio piano di carriera e sviluppo sulla base di una consapevole valutazione dei propri bisogni e delle proprie potenzialità e, non da ultimo, pensate a quanto tutto questo impatterebbe su una variabile fortemente critica come la motivazione! Attraverso percorsi di questo tipo l’azienda può garantirsi il presidio di processi critici per una crescita sostenibile nel tempo.

…poi l’organizzazione

Per quanto riguarda la seconda dimensione, quella legata al cambiamento organizzativo, l’elemento di criticità sta nel dover creare il giusto mix tra aspetti “hard” e “soft”. Pensiamo ad esempio all’insieme di cambiamenti del modo di lavorare e, al tempo stesso, alle reazioni individuali che caratterizzano l’introduzione in azienda della Lean Philosophy. Anche in questo caso il modello di cambiamento ci guida nella strutturazione del processo che vede come primo step il coinvolgimento e la pianificazione fondamentali per generare il bisogno al cambiamento, sviluppare la visione (cosa vogliamo fare) e valutare la disponibilità al cambiamento. Segue poi la fase di applicazione tramite lo sviluppo sia delle persone attraverso modalità integrate di formazione che dei processi attraverso attività consulenziali. In fine abbiamo la fase di valutazione e consolidamento che consente di misurare l’impatto e la sostenibilità del cambiamento e la definizione dei nuovi obiettivi.

Lean e Intelligenza emotiva

Il caso Ciba

Luigi Boaretto è site manager di Ciba e ha seguito tutte le fasi del processo di change.

In che modo si è preparato ad affrontare questa sfida?

Era importante prima lavorare su di me per capire poi come avrei potuto sostenere il mio team. Non è assolutamente facile “navigare le proprie emozioni” e quelle degli altri quando hai il compito di prendere decisioni forti che sai potrebbero impattare su molte altre persone. Ho seguito un percorso di sviluppo personale (Eq Management certification) grazie al quale mi sono state molto più comprensibili reazioni, mie e dei miei collaboratori, che vivevo nella quotidianità. Mi sono messo in discussione, creando all’inizio anche una certa sorpresa e incertezza fra chi mi era più vicino, ma i momenti di dubbio sono stati ripagati dal vedere come, nel tempo, il “contagio” si allargava e i risultati accompagnavano gli sforzi.

C’è stata una parola chiave che ha guidato il suo team?

Sicuramente scelta! Credo che sia importante pensare sempre alle alternative che abbiamo a disposizione senza lasciarsi travolgere dalle difficoltà. Per esempio, nonostante fosse stato inserito in un pesante processo di ristrutturazione, insieme al mio team abbiamo voluto scegliere di vedere nella trasformazione Lean un’opportunità e non un flagello. Accettando la scommessa di compensare parte della riduzione del personale con risparmi, all’epoca tutti da scoprire, in altre categorie di costo, abbiamo cominciato a mescolare “ingredienti” di Lean con “ingredienti” di Intelligenza emotiva. Oggi si può dire che il retail è stato sorprendente e la scommessa è stata vinta.

Quale insegnamento ha tratto da questa esperienza?

Credo di avere imparato che la tensione verso l’eccellenza sia ormai l’unica strada di successo per le aziende, a maggior ragione in una situazione economica come l’attuale. Penso che cercare cosa sia veramente il valore per il cliente, trovare e mantenere il ritmo per sincronizzare le attività ma anche gli obiettivi e infine, ma non per importanza, sviluppare la persona come nuova cellula imprenditoriale che “tira” l’organizzazione siano le risposte di questo nuovo paradigma. A parole può sembrare semplice ma, alla prova dei fatti, è un cammino molto impegnativo che richiede allineamento continuo tra clienti, organizzazione e persone all’interno delle aziende.

Il caso Ciba

Ciba è un’azienda leader mondiale nella produzione di specialità chimiche e si trova da alcuni anni ad affrontare importanti cambiamenti legati a piani di riorganizzazione definiti sia a livello locale che globale. I processi di cambiamento affrontati hanno avuto un profondo impatto sull’organizzazione quotidiana del lavoro.

Obiettivo. Attraverso un nuovo approccio al Change sostenere i dirigenti nelle riorganizzazioni interne (legate alla  massimizzazione sia dell’efficienza che della flessibilità) e nei progetti lanciati a livello globale (come l’introduzione di Sap e la trasformazione della Lean Manufacturing). Ternuto conto delle dimensioni e del rapido susseguirsi dei cambiamenti, il rischio del rifiuto e della demotivazione, con conseguenti impatti su performance, attenzione al cliente e perdita dei talenti era forte. Era quindi necessario focalizzare l’attenzione della linea manageriale sulla comprensione e la gestione del fattore “emozionale” dei dipendenti nelle molteplici fasi di un cambiamento.

Coinvolgimento e pianificazione. La progettazione ha portato a definire un piano di interventi a cascata che partendo dalla dirigenza arrivassero al middle management. La possibilità di progettare insieme, pur con diversi livelli di profondità, le attività future tramite workshop specifici ha portato a un forte coinvolgimento dei manager che sono diventati i principali change agents. In particolare, i dirigenti sono stati coinvolti anche nella fase di definizione strategica, mentre i manager di linea nella fase di design di dettaglio. Per allargare la sfera di consapevolezza e raccogliere preziosi feedbacks rispetto alle criticità organizzative percepite dalle persone si è successivamente avviata un’analisi di clima Ovs (readiness to change, ovvero disponilità al cambiamento), che ha permesso di aumentare la consapevolezza dei punti di forza e di debolezza del gruppo e soprattutto di quantificare i rischi legati a talent retention, performance e customer service.

Applicazione e sviluppo. Sono stati strutturati momenti di formazione con focus specifici rispetto al tema delle reazioni individuali al cambiamento e all’importanza che gioca il fattore “emotivo”, per condividere la costruzione della visione del cambiamento. Alla formazione si sono affiancati incontri di coaching e supporto consulenziale su casi pratici, per applicare i temi al contesto aziendale. Sono state inoltre organizzate giornate outdoor con cadenza periodica, dapprima con il coinvolgimento del solo middle-management e poi con inviti più estesi anche al livello operativo, così da facilitare l’introduzione dei cambiamenti a tutti i livelli aziendali.

Valutazione e consolidamento. Attraverso check periodici diretti e indiretti abbiamo monitorato il processo di cambiamento nelle sue fasi apportando modifiche e calibrazioni là dove si presentavano nuove necessità. Grazie a queste azioni si sono verificate numerose “rivoluzioni” del modo di lavorare. La nascita di questo nuovo “linguaggio comune” sta accompagnando anche le nuove sfide che, anno dopo anno, si presentano.

I risultati ottenuti: Il site manager di Ciba e il suo team hanno portato il sito a raggiungere importanti obiettivi di business, come ad esempio aumentare in due anni la produttività del 18% e contemporaneamente ridurre i reclami del 73%. Altrettanto importante è stata la volontà di “lavorare su se stessi” per essere i primi ad accettare, comprendere e interpretare il cambiamento.