Siamo spesso investiti da frasi come: oggi sono stressato! che stress questo lavoro! etc… Ma cos’è veramente lo stress?

Siamo spesso investiti da frasi come: oggi sono stressato! che stress questo lavoro! etc… Ma cos’è veramente lo stress? Il più delle volte, infatti, l’abitudine lessicale ci distrae dal reale significato delle cose confondendo il significato di un termine con il sentire comune che si ha di questo. Nel caso dello stress, infatti, è importante sottolineare che non sono le situazioni ad essere stressanti, piuttosto siamo noi che le percepiamo come tali. Questa osservazione, che apparentemente potrebbe apparire come un sottile gioco di parole, in realtà nasconde una profonda differenza. Infatti, non tutto quello che stressa una persona può risultare stressante per un’altra. Se questo è vero, la differenza sta nelle persone e nel loro personale modo di vivere e percepire le diverse situazioni. C’è chi si “sente stressato” a lavorare con tempi stretti e chi invece riesce ad essere produttivo solo se ha il fiato sul collo; c’è chi si stressa nel prendere decisioni e chi non riesce a smettere di farlo!

E’ per questo che l’unico modo che abbiamo per fronteggiare le situazioni stressanti è imparare a conoscerci un po’ meglio, per individuare quali sono i nostri punti di sensibilità allo stress!

Alberto Biani, imprenditore-stilista veneto, ci è riuscito! Ha riflettuto sulla sua vita, si è guardato dentro…e ha capito. Ha capito che il suo lavoro non lo soddisfaceva e non lo gratificava, scatenando effetti totalmente opposti come l’oppressione. «Sino a dieci anni fa ero malato di lavoro» –  afferma nel corso di un’intervista –  «Non staccavo mai. Una droga! Capisco chi ne è completamente assorbito: vivi di stress e vivi per lo stress, che si autogenera con altro stress. Ecco perché chi lavora tanto non sopporta, per esempio, le ferie o i fine settimana: si va in angoscia, causa mancanza di tensione, intensità». L’imprenditore seppe imprimere una svolta alla sua vita scegliendo di intraprendere un lavoro più creativo e meno manageriale. «Non tornerei più indietro per nulla al mondo» – afferma ora – «Oggi per me non esiste lavorare tanto, ma lavorare il giusto». Biani non è più stressato e nevrotico e dice di proteggere la famiglia dalla droga-lavoro: «Perché sono tua moglie e i tuoi figli a soffrire di più per la tua nevrosi. Non tu che in quel momento sei solo un alcolizzato da lavoro». E così, anche per ognuno di noi, lo stile di vita frenetico a cui siamo continuamente sottoposti nella vita quotidiana, fa sì che risulta difficile non divenire preda di stati d’animo negativi, come: ansia, depressione e stress. Quello che ci interessa capire, però, è se lo stress, con l’andare del tempo, possa divenire nocivo al punto da poter provocare una vera e propria malattia. Per dare una risposta a questo quesito vi forniamo, di seguito, uno spunto di riflessione di natura biologica, tratto da un articolo di Umberto Galimberti.

LO STRESS PUO’ DEGENERARE IN MALATTIA?

Purtroppo si… E’ ampiamente dimostrato, infatti, che le emozioni, che sono la prima risposta agli stimoli ambientali, condizionano non solo i processi razionali, ma agiscono, modificandoli, sui sistemi neuroendocrino e immunitario, i quali sono responsabili del benessere, quanto dell’insorgenza di malattie. Lo stress, quindi, può produrre in ognuno di noi un danno psicofisico non trascurabile, definito «danno biologico secondario», poiché comporta un’alterazione dell’equilibrio del sistema endocrino, con conseguente scorretta produzione dei neurotrasmettitori e lo sviluppo di malattie psicosomatiche. Ma lo stress è una condizione personale, che dipende dalla capacità di risposta del proprio organismo e dal tipo di eventi scatenanti. Il nostro cervello, infatti, non è una struttura rigida che reagisce in modo determinato ai processi a cui presiede, ma modifica la propria struttura neurale, con conseguente ripercussione sui sistemi endocrino ed immunitario, a seconda degli stimoli ambientali, che se sono positivi garantiscono la condizione di salute e se, invece, sono negativi favoriscono l’insorgenza delle malattia. Se diamo uno sguardo verso il passato, scopriamo che già nel V secolo a.c, il filosofo greco Antifonte affermava che: « In tutti gli uomini è la mente che dirige il corpo verso la salute o verso la malattia». Fortunatamente esistono dei metodi possibili di prevenzione allo stress che possono ridurre i danni che esso produce sull’organismo; un esempio di “prevenzione secondaria” può consistere nella capacità di attivare le risorse autoguaritrici che ognuno di noi possiede. Infatti, grazie alla plasticità del nostro cervello possiamo combattere le malattie intervenendo sul nostro stile di vita. Ma quando dallo stress non riusciamo a sottrarci, a quali malattie specifiche possiamo andare incontro? Numerosi studi ci consentono, purtroppo, di affermare che lo stress può addirittura aumentare il rischio di un attacco cardiaco.

LO STRESS AUMENTA IL RISCHIO D’INFARTO

A questo proposito è molto interessante lo studio di Anne Underwood sulle cause psicologiche della cardiopatia. La ricerca prese il nome di ‘Effetto Northridge’, dal nome del terremoto del 1994, che colpì una zona nelle vicinanze di Los Angeles. Nei mesi seguenti al potente sisma alcuni ricercatori universitari avevano esaminato i referti dei medici legali e avevano rilevato un notevole incremento dei decessi per crisi cardiovascolari, da una media giornaliera di 15,6 ai 51 del giorno del terremoto. Questo significava che le persone rimaste illese dal terremoto si erano, comunque, spaventate a tal punto da essere, in seguito, colte da infarto. Per dirla in parole più semplici, si erano spaventate a morte!

Ma non sono soltanto shock improvvisi a causare la morte, infatti, anche stati emotivi cronici come lo stress, l’ansia, l’ostilità e la depressione possono fornire un notevole contributo. I medici sono sempre più convinti, rispetto al passato, che i fattori psicosociali costituiscano elementi significativi di rischio per le malattie cardiovascolari. Tali fattori hanno, infatti, un’incidenza almeno pari a quella dell’obesità, del fumo e dell’ipertensione!

Uno studio di Debra Moser, professoressa di scienze infermieristiche all’università del Kentucky, dimostra come una persona che presenta elevati livelli di ansia abbia una maggior probabilità di andare incontro a complicazioni cardiache. Lo studio aveva coinvolto 536 pazienti che avevano subito attacchi di cuore. A tali pazienti era stato misurato il loro livello di ansia, tramite un classico test psicologico a risposta multipla e si era controllato se avevano avuto ulteriori complicazioni, come un ulteriore attacco cardiaco, durante il periodo trascorso in ospedale. Coloro ai quali erano stati rilevati maggiori livelli di ansia, avevano il quadruplo delle possibilità di andare incontro a complicazioni, rispetto a quelli a cui erano stati rilevati bassi livelli.

Michael Frenneaux, professore di medicina cardiovascolare all’università di Birmingham in Inghilterra, afferma che in una persona in buona salute la depressione aumenta almeno del doppio il rischio di attacco cardiaco, mentre in una persona che in passato ha subito un attacco cardiaco, la depressione può addirittura quadruplicare o persino quintuplicare il rischio di averne un altro! Anche elevati livelli di ostilità, misurati con test standard, fanno aumentare del 29 per cento la possibilità di morire di malattia cardiaca. Anche lo stress causato dal lavoro eccessivo può aumentare la probabilità di rischio d’infarto.

Uno studio del 2004, sulla rivista The lancet, condotto in 52 paesi, ha esaminato oltre 11.000 individui colpiti da attacco cardiaco. E’ risultato che, nei dodici mesi precedenti l’infarto, tali individui avevano subito un notevole stress nell’ambito lavorativo o famigliare, rispetto alle persone che godevano, invece, di buona salute.

Infine, anche i traumi infantili sembrano produrre conseguenze sulle malattie cardiache, lo dimostra una recente inchiesta condotta dalla dottoressa Maxia Dong, del Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie, su oltre 17.000 adulti residenti a San Diego. La dottoressa rilevò che il rischio di attacchi cardiaci aumentava del 30 o del 70 per cento nelle persone che avevano riferito di aver avuto, durante l’infanzia, traumi dovuti ad abusi fisici, sessuali od emotivi, o che avevano subito violenze da parte di genitori che abusavano di droga o alcol.

Allora lo stress non è dovuto solo a motivi che dipendono dal tipo di lavoro e dallo stile di vita che si conduce, vi possono anche essere altre cause, ad esempio legate a fatti accaduti in precedenza, come, ad esempio, nel periodo infantile.

INFANZIA E STRESS: C’E’ UN LEGAME?

Quello che, forse non tutti sanno è che lo stress nell’età adultà, che poi degenera in malattia, può essere legato ad esperienze vissute durante l’infanzia. E’ nata una nuova scienza, denominata PNEI (Psiconeuroendocrinoimmunologia), che valuta il “danno biologico primario”, che sembra essere causato dalla carenza delle attenzioni materne. Sembra, infatti che una disarmonica costruzione anatomica di alcune strutture cerebrali dipenda da un mancato sviluppo “emotivo” del neonato da cui deriva la nascita di una patologia organica nell’età adulta. E‘ molto importante, quindi, che il bambino percepisca affetto e cure materne, al fine di un corretto sviluppo biologico nei primi tre anni di vita. Fin da piccoli i bambini dovrebbero avere accanto figure genitoriali in grado di aiutarli a saper riconoscere, accettare e gestire le proprie emozioni e quelle degli altri, anche se negative o spiacevoli. Questo permetterebbe loro di capirsi meglio e di acquisire un forte senso di stabilità e competenza. Per fare questo i genitori dovrebbero ascoltare i figli, in modo da cogliere i loro sentimenti e stati d’animo e aiutarli a controllarli. Una madre dovrebbe essere in grado di contribuire allo sviluppo dell’ Intelligenza Emotiva del figlio e, quindi, essere in grado di insegnare al bambino a gestire e a tramutare in atteggiamento positivo i suoi sentimenti negativi, che è naturale che un bambino possa provare nel corso della sua vita. Non è bene per una madre distrarre subito il bambino appena questi manifesta un’emozione negativa, ma sarebbe meglio che si soffermasse a parlare con lui, facendogli riconoscere il suo stato d’animo, al fine di fargli comprendere che non vi è nulla di male nel provare tali sentimenti. E’ necessario che il genitore si immedesimi in lui arrivando a percepire quello che realmente prova.

Ma anche noi adulti non dobbiamo dimenticare quanto sia importante l’affetto che le altre persone mostrano nei nostri riguardi, per farci stare bene e per condurre una vita più serena e rilassata. Oliver Sachs, nel libro “Un antropologo su marte” (Adelphi 1998), ci suggerisce addirittura di dedicare ogni giorno un po’ del nostro tempo a farci le ‘coccole’! Anche se ciò può sembrare strano, non ci farebbe certo male imparare a dedicarci non solo al lavoro e ad attività frenetiche e stressanti ma anche alle persone che ci stanno accanto e ci sostengono.

Fonti

Umberto Galimberti, La Repubblica , 8 dicembre 2005

Intervista ad Alberto Biani La Repubblica, 13 settembre 2005