Intervista a Joshua Freedman

pubblicata su L’Impresa (n 3, MAGGIO 2007). In un mondo in continuo mutamento, quanto conta l’Intelligenza Emotiva?

In un mondo che cambia ad alta velocità, le imprese devono conquistare i talenti usando strumenti diversi da quelli tradizionali. Joshua Freedman, intervistato da Antonio Dini, spiega quanto conta l’intelligenza emotiva.

Ci vuole un’avvertenza particolare prima di incontrare Joshua Freedman, ricercatore e studioso della performance aziendale e consulente internazionale di questo tema. I suoi libri- l’ultimo dei quali, Intelligenza emotiva, è pubblicato da Il Sole 24 Ore- ne sono una prova vivente: il mondo al quale fa riferimento non è applicabile letteralmente a tutti i contesti. Ma, riuscendo a guardare con una lente interpretativa sufficientemente affinata, la sua visione in realtà comunica soprattutto in Italia molto più di quel che non si possa immaginare. Non si tratta infatti solo di una teoria “new age” su come migliorare la performance nel business inserendo un “tocco umano” e “più sensibilità”.

E’ una visione più ampia, una delle più chiare manifestazioni che qualcosa si muove: stiamo assistendo probabilmente a un cambiamento profondo del mondo degli affari e non solo, a velocità accelerata e in un arco di tempo nel quale cinque anni sono diventati un’era geologica. Freedman testimonia un aspetto di questo cambiamento, grazie a una ricetta originale che sta interessando i vertici di numerose multinazionali come di piccole start up e piccole ma dinamiche imprese in Paesi di tutto il mondo. L’emozione conta.

Mister Freedman, cosa vuol dire che il mondo sta cambiando?

Ritengo che oggi se vuoi guidare una azienda devi avere un tipo di sensibilità diversa, nuova. Qualcosa di differente rispetto al passato, di certo molto lontano dallo spirito puro e selvaggio del capitalismo che nell’Ottocento ha segnato conflitti e contrasti durissimi. Bisogna capire la velocità dell’innovazione.

In che senso?

Oggi più che mai è necessario venir fuori con nuovi tipi di innovazione, con forme di crescita che siano anche radicalmente differenti dal passato. Sono necessarie la trasparenza e l’apertura delle aziende quotate in Borsa: Google con il caso della censura in Cina ne è un esempio. Non raccogli consenso e capitali solamente facendo business, ma anche facendolo in modo etico. Però l’etica è solo uno degli aspetti in gioco: la leadership all’interno di un’azienda è diventata qualcosa di molto complesso.

Questo vuol dire che stanno cambiando le persone che lavorano nelle aziende?

Certo, stakeholders, azionisti e dipendenti sono figure che si sovrappongono sempre più. Ma anche per chi non è quotato in Borsa, la capacità di essere attrattivo verso i giovani con talento, capaci cioè di innovare e portare sangue nuovo e successi in azienda, richiede un diverso approccio. Le generazioni più giovani sono mobili, non amano ripetere sul lavoro gli stessi schemi in maniera indefinita. Non si tratta di una élite, bensì di un numero talmente ampio da essere oramai rilevante  in quasi tutti i settori.

Quali sono gli elementi richiesti per una leadership dell’azienda?

Ci vogliono in parte le solite cose, non mi fraintenda: attenzione ai dettagli, pianificazione accurata, capacità di sviluppare piani industriali e commerciali. Ma c’è di più. Ci vuole anche una cosa nuova che si chiama fiducia. Bisogna essere credibili. Le cose che le aziende comunicano sono anche non verbali. Cioè, si tratta di elementi emozionali. Sono dieci anni che studio questi fenomeni, e sono giunto a una conclusione importante.

Quale?

Che nei momenti di cambiamento sistemico come questo, la cosa più importante, sono le persone. Le persone, cioè, sono più importanti delle aziende. Oggi non si compete con le aziende, ma con le persone che le formano. Quindi, il problema è come attrarre le persone che siano in grado di fare la differenza. E qui, così come per l’esterno, anche all’interno dell’azienda è importante capire che chi ha talento non si attrae sono con i soldi. Perchè si tratta di persone nuove, che ritengono che sia importante amare quel che fanno.  E le aziende devono mettersi in condizione di essere amate.

Come fa un’azienda a farsi amare?

E’ compito dei suoi leader, coloro i quali devono saper usare un’intelligenza emotiva e non solo freddamente razionale. Devono creare una comunità di innovatori, un senso di appartenenza e di libertà, dare l’idea che si sta cambiando qualcosa con il proprio lavoro e che il cambiamento tende verso il meglio. Siamo agli antipodi rispetto alla logica dei grandi speculatori che costruirono la ferrovia transcontinentale attraverso gli Stati Uniti, arricchendosi in maniera oscena con scorrettezze e ruberie a scapito di centinaia di migliaia di sventurati. Oggi le persone contano tantissimo, più delle aziende e dei soldi.

Quali sono le dimensioni del cambiamento sociale ed economico di cui parla?

Si estende in tutto il mondo. Lo si può vedere meglio in alcuni contesti, per motivi differenti. Mi viene in mente l’Asia con due esempi: Singapore e la Cina. Entrambe stanno costruendo società innovative, anche se in modo differente e con motivazioni (e numero di persone coinvolte) differenti. Una delle chiavi, in questo tipo di società e d’impresa è la condivisione delle informazioni, che oggi vengono tenute al chiuso come risorsa di potere. Invece, la loro condivisione è fondamentale.

Come cambia lo stile dei manager che devono gestire le aziende?

Radicalmente. Devono capire che si trovano di fronte a un modo di ragionare differente, in cui conta molto la capacità di motivare e ispirare fiducia, di parlare una lingua differente da quella che, per generazioni, hanno con tutta probabilità imparato nelle business school o sul campo venti o trent’anni fa. Per alcuni, nella mia esperienza di consulente, non è affatto difficile. In qualche caso, ci sono dirigenti d’azienda che sono molto più avanti dei tempi. Ma in altri casi è praticamente impossibile: c’è un rifiuto di comprendere, un’incapacità di fare cose che non si capiscono e che quindi si rigettano. Integrità, fiducia, visione e capacità di adattamento in un momento di profondi e rapidi cambiamenti. Non è per niente facile agire in questo contesto.

Perchè?

La reazioni istintiva di fronte al cambiamento improvviso, che è percepito come un pericolo, è combatterlo o fuggire. Sono due risposte sbagliate: serve la creatività, l’unico modo che abbiamo per rendere le minacce di oggi un ricordo del passato. L’intelligenza emotiva è la chiave per aiutarci in questo.

Come?

Prenda ad esempio la qualità fondamentale di un innovatore. La curiosità. E’ strettamente necessaria, oggi. Ma la curiosità non è un dato razionale che si possa scrivere su un foglio di Excel o in una scheda del personale. Non è neanche misurabile. E’ un sentimento. E’ una delle chiavi per capire che sono le emozioni che guidano la performance aziendale. Capire che in un’azienda, così come in un mercato, le persone non si comportano a caso, ma seguono le proprie idee e soprattutto le proprie emozioni permette di gestire molto meglio la performance. Permette di ottenere risultati che altrimenti non sarebbero possibili oggi.

Fino a che punto è importante, oggi, il talento nelle imprese?

E’ una necessità fondamentale. E’ necessario infatti  convincere le persone a portare i loro talenti sul lavoro, a utilizzarli ogni giorno. Sono la chiave per essere innovativi e competitivi. Oggi succede ancora troppo spesso il contrario, e cioè che si portino a casa dal lavoro le pressioni e le conseguenze psicologiche degli errori che vengono commessi al lavoro. Invece, bisognerebbe fare esattamente il contrario e portare la freschezza e la capacità di innovare da casa, dal proprio privato, sul lavoro. Noi lavoriamo per realizzare strumenti che consentano di capire e offrono una base oggettiva ai sentimenti, ai modi di svilupparli e di gestirli, di comprenderli e trovare il modo per renderli funzionali in azienda.  E non c’è una vera alternativa: chi non innova deve essere più intelligente di prima, usando risorse come l’emotività che finora non erano mai state prese seriamente in considerazione.

L’abc dell’intelligenza emotiva
Consapevolezza di sé, gestione di sè e perseguimento di obiettivi eccellenti
Secondo il senso comune le emozioni distruggono la logica, ma non è precisamente così. Le emozioni sono fondamentali per il processo di presa delle decisioni, soprattutto in un momento nel quale gli intensi cambiamenti economici e sociali stanno rimettendo in discussione il ruolo delle aziende, dei prodotti che vendono e delle strategie egoistiche di sopravvivenza. Il modo in cui i leader delle organizzazioni trattano le proprie emozioni, infatti, influenza le percezioni riguardo se stessi e al modo in cui svolgono il proprio lavoro. Inoltre, le emozioni degli impiegati determinano la percezione del cliente e di conseguenza la fedeltà del cliente. Il modello Six Seconds dell’Intelligenza Emotiva indaga tre macro aeree: la consapevolezza di sé (Self Awareness), la gestione di sé (Self Management) e il perseguimento degli obiettivi eccellenti ed empatia (Self direction). In pratica spinge i manager a chiedersi: quando voglio prendere una decisione, che emozioni sto provando? Quali scelte ho a disposizione? Cosa è prioritario fare?
Le emozioni, in questa ottica, sono importanti perché contengono informazioni riguardo a noi stessi e agli altri; ognuno di noi può imparare a interpretare con precisione queste informazioni; le emozioni influenzano le nostre percezioni. Ad esempio, per recuperare e mantenere un equilibrio sano, cioè scegliere come reagire alle situazioni, è necessario iniziare dalla consapevolezza delle emozioni, che permette di anticipare i “pericoli” del ciclo della reazione e dell’escalation emotiva. Come diceva Henri David Thoreau, «impegnarsi non è abbastanza: va bene solo per le formiche. La domanda che ci dobbiamo porre è: in che cosa ci stiamo impegnando?». Secondo l’approccio di Six Seconds, infatti, è importante decidere e agire seguendo degli obiettivi eccellenti, in modo da impegnarsi sino in fondo nelle cose e in maniera regolare, così da fare sempre del proprio meglio. In questa maniera, grazie anche all’esercizio dell’empatia, si accresce la propria autostima, la propria influenza e la propria esperienza.