Uno psicologo americano ha memorizzato nel computer le espressioni di 100 mila volti umani, classificando i sentimenti….

Articolo di FEDERICO RAMPINI tratto da Internet

Si chiama “informatica affettiva”, è la rivoluzione nata nei centri di ricerca della California dove si costruisce il primo computer dotato d’intelligenza emotiva. Ci promette un futuro migliore – aiuterà i medici nella diagnosi precoce della depressione, per esempio – ma potrebbe renderci la vita infernale: il marketing delle aziende spierà le reazioni segrete del consumatore di fronte ai prodotti del supermercato; a vostra insaputa il datore di lavoro vi controllerà le emozioni, conoscerà ogni fragilità psicologica.

Il nuovo trend tecnologico dell’informatica affettiva ha riformulato radicalmente il concetto di intelligenza artificiale. Gli scienziati che costruiscono questi computer non si accontentano più di umiliare il cervello umano sul terreno della potenza di calcolo, della velocità nel risolvere problemi scientifici complessi: qui l’homo sapiens ha già perso la gara da tempo. Le macchine pensanti, pur dotate di una micidiale superiorità logica, sembravano però impotenti di fronte a un’altra sfida: capire i sentimenti, decifrare le motivazioni del comportamento umano. Era un limite grave. Talmente razionale da risultare ottuso, il computer restava escluso dalla sfera degli affetti, della psicologia, quindi gli sfuggiva la comprensione delle relazioni sociali e perfino dei grandi problemi internazionali (come decifrare il conflitto Israele-Palestina senza introdurre elementi di irrazionalità?).Grazie ai progressi dell’informatica affettiva, questi limiti appartengono ormai al passato. Giorno dopo giorno, i segreti delle emozioni umane si stanno aprendo all’assalto dei computer. Ha cominciato a tradirci il volto, “finestra dell’anima” tutt’altro che impenetrabile. Uno degli scienziati di punta in questo campo è Javier Movellan, 41enne psicologo di origine spagnola, da anni impegnato nella ricerca alla University of California San Diego. La sua squadra di scienziati ha già studiato e catalogato elettronicamente più di 100.000 volti umani “in azione”, scomponendo ogni singola espressione in minuscoli segmenti di movimenti dei muscoli facciali, spostamenti degli occhi e della bocca, rughe della fronte. Il computer ha scannerizzato fino a 30 immagini del volto per secondo, ha immagazzinato in una banca dati milioni di miliardi di immagini e informazioni. Ricomponendo quei dati è già in grado di identificare centinaia di modi complessi di esprimere la gioia o la rabbia, la tristezza o la curiosità: ben presto comincerà a capire sentimenti che vogliamo nascondere.

Dal Golem della leggenda ebraica a Pinocchio, dal Robot di Karel Capek a Frankenstein, è un mito antico della nostra cultura che diventa realtà: la trasformazione dell’oggetto in essere; la macchina con un’anima. Il vero pioniere dell’informatica affettiva è Hal, il supercomputer che dirige l’astronave in “2001 Odissea nello spazio”, il romanzo di fantascienza di Arthur C. Clarke portato sugli schermi di Stanley Kubrick nel 1968. Hal era dotato di qualità psicologiche: etica del dovere, intuizione, capacità di interpretare le vere intenzioni dei suoi umani compagni di viaggio, infine l’angoscia di fonte alla propria morte. Fu uno dei primi a fare il grande salto: dall’intelligenza logica e matematica dello schiavo utile, all’intelligenza emotiva che può portare alla parità con l’uomo. La pagò cara. Nel laboratorio californiano di Movellan, l’uomo è stato già sconfitto in almeno una occasione. Chiamato a distinguere maschi e femmine, tra una serie di volti da cui erano stati cancellati tutti gli indizi di natura “culturale” (i capelli lunghi o corti, il trucco, orecchini o collane, ecc.), il computer è stato più perspicace. È un piccolo esempio rivelatore di una verità importante: a noi la cultura e la storia ci aiutano ma ci fanno anche da velo, il computer può astrarre più facilmente dalle convenzioni. Ci siamo cullati a lungo nell’illusione che solo chi prova delle emozioni in proprio può capire la psiche altrui. Gli scienziati dell’informatica affettiva cominciano a sospettare il contrario: per capire l’animo dei nostri simili, siamo spesso handicappati dalla nostra stessa emotività. I pregiudizi, le simpatie e antipatie, le personali nevrosi fanno di noi degli interpreti raramente affidabili della psicologia umana. La macchina è meno fragile.

All’origine di questa rivoluzione tecnologica c’è un lavoro avviato nel 1970 dalla facoltà di medicina di San Francisco per scomporre e classificare le espressioni facciali del volto umano: come tanti tasselli di un mosaico infinitamente più complesso, sintomi di stati d’animo ed emozioni. Ai sorrisi e agli sguardi, si è passati ad aggiungere una gamma più ampia di segnali espressivi come il tono della voce e la gestualità delle mani. Trent’anni di ricerche hanno dato una formidabile “mappatura” delle espressioni umane a disposizione dei nuovi supercomputer. Un passo successivo ha consentito di incrociare queste apparenze esterne con altri indicatori: la pressione del sangue, il ritmo del respiro, la conduttività elettrica misurata nei piedi. Sono tecniche sperimentate nei lie-detector, le “macchine della verità” usate con crescente precisione negli interrogatori della polizia americana (quando l’imputato vi acconsente). Già oggi, nell’80% dei casi il computer “affettivo” risale con precisione dagli indizi esterni agli stati emotivi come la gioia o la paura. Intelligente lo era già: ora comincia ad essere sensibile. È una promessa o una minaccia?

L’industria informatica americana spera che da queste ricerche si apra un formidabile mercato: per vendere computer psicoterapeutici, insegnanti, consiglieri, strateghi. Le applicazioni mediche sembrano fra le più promettenti. Nella diagnosi di molte patologie psichiche il computer è già in fase di test. Certi sintomi della schizofrenia – come una divaricazione sistematica fra sentimenti ed espressioni – potrebbero essere individuati dalla macchina prima che dallo psichiatra. E forse i due potrebbero imparare a lavorare insieme, integrando le proprie qualità complementari. Sempre che il computer affettivo non si riveli invidioso e individualista.Toyota e Sony lavorano ad un’altra applicazione, montata sul modello sperimentale di automobile Pod.

Il computer intelligente integrato nell’auto “riconosce” stati d’animo pericolosi del guidatore (affaticamento, nervosismo, aggressività) e prende le sue contromisure: suona musica distensiva, accende il condizionatore d’aria, o addirittura rallenta e parcheggia.Ma ci sono applicazioni inquietanti. Messi a disposizione del marketing, i computer affettivi usati nei focus group rivelerebbero non solo quello che il consumatore dice di un nuovo prodotto, ma anche i suoi sentimenti più profondi. Se l’intelligenza emotiva penetra nel pc che usiamo tutti i giorni, per i datori di lavoro l’intrusione nella privacy dei dipendenti non avrà più limiti. Figurarsi poi lo stress di chi dovrà affrontare un colloquio per l’assunzione di fronte a due esaminatori: uomo più macchina. E che dire dell’uso di questi computer in mano alla polizia? Gli scienziati californiani sono convinti di essere alla vigilia di una rivoluzione industriale almeno altrettanto importante di quella dell’Ottocento. Allora molti furono sconvolti di fronte alle macchine che potevano sostituire il loro lavoro. Oggi anche il nuovo contratto sociale che lega il computer-schiavo all’uomo potrebbe saltare, sottoponendoci a un tremendo shock culturale. Hal sta per assaporare la sua rivincita?